Planeta Palermo. Un viaggio in Sicilia
Approda al Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo il settimo “Viaggio in Sicilia” promosso dall’azienda vitivinicola Planeta. Fino al primo ottobre, sei artisti – a cui si aggiunge il contributo di un fotografo – espongono in un luogo strepitoso. A conferma che unire le forze, tanto più fra pubblico e privato, può condurre a risultati assai interessanti.
È giunta alla settima edizione l’iniziativa prodotta dall’azienda vitivinicola Planeta, eccellenza siciliana che, con continuità e serietà, si affida da ormai un quindicennio all’arte contemporanea per raccontare la propria terra. Si tratta infatti di un progetto che conduce sull’isola un manipolo di artisti, per una residenza nomade che attraversa il territorio (nel settembre del 2016, in questo caso) e che poi, ogni volta in un luogo diverso, precipita chimicamente in una mostra.
IL MUSEO
Quest’anno tocca al Museo Salinas, luogo cardine della cultura palermitana, ospitato all’interno del complesso monumentale dei Padri Filippini all’Olivella. Un museo che a lungo è rimasto chiuso per ristrutturazioni e riallestimenti, e che tuttora è visitabile “soltanto” nel suo pianterreno – non stiamo qui a raccontare quanto lenti siano i transiti dei fondi necessari a tener vivi i nostri tanto decantati “tesori”. Un museo che però, grazie a una direttrice appassionata (Francesca Spatafora) e a un addetto alla comunicazione altrettanto propositivo (Sandro Garrubbo), è rimasto attivo anche quando le porte erano ancora chiuse del tutto.
Il riordinamento delle collezioni è improntato a una decisa rivoluzione: abbandonato l’approccio tipologico (capitelli con capitelli, anfore con anfore e via dicendo), la scelta è ricaduta sul contesto: che non significa soltanto restituire la complessità delle aree di scavo da cui provengono i reperti, ma altresì raccontare la formazione dei nuclei, ovvero la storia stratificata delle collezioni che nel museo trovano dimora. È così che si definisce l’identità del museo – di ogni museo – ed è così che si può assolvere alla doppia funzione museologica e meta-museologica.
In questo modo si ha la possibilità di apprezzare le primigenie donazioni di Giuseppe Emanuele Ventimiglia, risalenti al 1814, e la straordinarietà da Sindrome di Stendhal delle metope dei templi di Selinunte; la raccolta di 4mila volumi donati da Girolamo Valenza e la sala dedicata a Scrittura ed epigrafi contenente la Pietra di Palermo (per intenderci: fa il paio con la Stele di Rosetta). E questi sono soltanto alcuni esempi di come sia stato elaborato un progetto intelligente su un doppio binario, in grado di soddisfare palati molto diversi. E così sarà anche per gli altri due piani del museo, che ci auguriamo di poter visitare entro i primi mesi del prossimo anno.
LA MOSTRA
Il tema scelto dalla curatrice Valentina Bruschi è Mappe e miti del Mediterraneo. Mappe, miti, Mediterraneo: temi che permetterebbero di riempire agilmente una biblioteca di media ampiezza. A fare da fil rouge, nella maniera più ovvia e duramente attuale, il movimento dei popoli. Ma nessuno degli artisti è stato letterale o, peggio, didascalico. Al contrario, si ravvisa una condivisa consapevolezza di appartenere inevitabilmente a una prospettiva storica.
Così è – si direbbe: per nascita – nel caso della cipriota Marianna Christofides, che disorienta con le mille declinazioni del “mito” nell’era della ricerca su Google, mentre nel video Here Let Me Stand rende palese la narrazione (il mito fondatore) di una scoperta archeologica, nella fattispecie quella ottocentesca di Alessandro Palma di Cesnola.
Mappe e mappamondi si dispiegano in uno dei lavori di Gabriella Ciancimino, che ha intessuto un dialogo non soltanto con la Sicilia e il Mediterraneo, ma anche con la straordinaria collezione di carte geografiche appartenenti al museo, in particolare le mappe barocche di Vincenzo Maria Coronelli; e di migrazioni parla il mappamondo di carta di Pietro Ruffo, la cui lucidità merita di essere testimoniata: “È questo che mi appassiona nelle mappe antiche o recenti, la loro soggettività nel descrivere un luogo fisico oggettivo, a seconda di chi le ha commissionate, di chi le ha disegnate e del periodo storico, raccontano una stessa area geografica ma con prospettive o ambizioni molto diverse”.
Il viaggio – di esseri viventi, quand’anche siano vegetali: anche le piante migrano – incardina il secondo lavoro della Ciancimino, con le barchette-sculture che si dispongono intorno alla Fontana del Glauco; e un viaggio è quello che fa compiere Malak Helmy al visitatore con l’installazione sonora allestita nel parco, udibile nella miglior maniera mentre si osservano, sempre della Helmy, quelle curiose forme organiche brillantemente colorate e poggiate a terra: sculture che riproducono rocce di salina, ma con le cromie tossiche dell’inquinamento ambientale.
Parte da miti privati, da microstorie, Andrea Mania: oggetti trovati, fotografie, disegni, collage sono viaggi estremamente personali che hanno la forza di farsi udire pur parlando a bassa voce (come fanno i sogni). Similmente agisce Luca Trevisani: una foglia di palma transita dall’Egitto alla Sicilia, e su di sé accoglie una decorazione Liberty di Ernesto Basile (“stazione d’arrivo del Grand Tour”, per usare le parole dell’artista); mentre il calco delle incisioni rupestri delle Grotte dell’Addaura (calco ancora inaccessibile, perché conservato al primo piano del museo; grotte inaccessibili, perché naturalmente scavate su un pendio che “scarica” continuamente massi e detriti) si ritrova a essere riprodotto tramite cianotipia, ombra dell’ombra, scrittura di platonica memoria.
IL CATALOGO
Questo non è un catalogo. Lo si dice spesso, ma stavolta il valore aggiunto è reale e tangibile. Qui e solo qui, infatti, ci sono le fotografie di Leonardo Scotti, il fotografo che ha accompagnato gli artisti nel corso della residenza nomade e da cui è nato un vero e proprio lavoro ad hoc, che non afferisce minimamente al genere della documentazione. Qui e solo qui c’è il testo di Gianluigi Ricuperati (Planeta Up Cut. Planeta Uppercut), che ha partecipato alla fase finale dell’incontro e che ha lasciato un testo poetico e rammemorante, moneta sonante scaturita da uno scambio che ha fatto mescolare vino e 1997, Burroughs e fidanzate d’altri decenni. Qui e solo qui, infine, c’è un ulteriore progetto di Malak Helmy, mappatura randomica di parchi sparsi in giro per il globo, raccontati in parole e immagini.
– Marco Enrico Giacomelli
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