Monumento per Anna, vittima del nazi-fascismo

Riflessioni sul senso e il valore del monumento contemporaneo, fra Land Art, durabilità, mutamenti di natura, memoria storica e coscienza collettiva. Gianni Moretti avvia il percorso per l’installazione di una complessa opera territoriale, in un paesino toscano. E la dedica a una bambina morta oltre settant’anni fa…

“Anna Pardini, la più piccola dei tanti bambini che il 12 agosto 1944 la guerra ha qui strappato ai girotondi”. Così recita la lapide collocata nella piazza di Sant’Anna di Stazzema, paesino di poche anime nei pressi di Lucca. Piazza “Anna Pardini”: qui si custodisce il ricordo di chi visse 20 giorni appena, scontrandosi col fuoco dei nazisti insieme alla famiglia e ad altri 20 cittadini. Anna spirò tra le braccia della madre Bruna, anch’essa ferita a morte, e a una delle quattro sorelle, Maria.
A 73 anni da quell’orribile eccidio, in cui morirono 560 civili, di cui 130 bambini, Gianni Moretti (Perugia, 1978) dedica alla vicenda un’opera ambiziosa, realizzata grazie al Piano per l’Arte Contemporanea 2016 del MiBACT. Un’opera fusa col paesaggio, come nube aurea, scia di polline o sentiero di gemme luminose. Ed è proprio il tema del “monumento” che l’artista riprende, imbastendo un po’ di questioni nodali. Fare un monumento, esservi inclusi, esserne partecipi o al cospetto: quale funzione, quale destino, quale tradizione o attualità?

Targa in Piazza Anna Pardini, Sant’Anna di Stazzema, Lucca

Targa in Piazza Anna Pardini, Sant’Anna di Stazzema, Lucca

I monumenti esistenti”, scriveva Thomas S. Eliot nel suo bel saggio Tradizione e talento individuale, “compongono fra di loro un ordine ideale, che si modifica con l’introduzione tra essi della nuova (veramente ‘nuova’) opera d’arte. L’ordine esistente è in sé completo prima che arrivi l’opera nuova; perché l’ordine persista dopo la comparsa della novitas, l’intero ordine deve essere, sia pur in misura minima, alterato”. Il passato come forma molecolare, che muta senso e struttura a ogni nuova micro alterazione.
E lo spazio pubblico sarà sempre rivelatore. Intorno a certe immagini, a certi oggetti, il passato si condensa per essere ricondotto nel cuore del presente e così farsi cosa viva, progressiva. Strumento di ri-costruzione collettiva. Tutto muta, intorno alle tracce che sedimentiamo, agli altari che edifichiamo, ai documenti che impariamo a leggere, ai muri su cui imbastiamo segni, alle forme che definiamo per celebrare, riconoscere, contestare o custodire. E tutto ha valore.
Ma un monumento può ancora essere specchio del presente? E quanto distorce, quanto rivela, quanto aiuta a preservare il dissenso o l’esempio, la metafora o il racconto, la paura o la speranza? Come ripensarlo nell’era dell’“unmonumental”, e come farne occasione di vita nuova? Rivitalizzare, più che riqualificare. Ecco una chiave: opere d’arte pubblica che incarnino forza e mutevolezza, fragilità e potenza, fra una pagina di storia e la stessa condizione umana.

Anna, Bruna e Maria Pardini, tre vittime dell'eccidio di Sant'Anna

Anna, Bruna e Maria Pardini, tre vittime dell’eccidio di Sant’Anna

L’INTERVISTA

Al centro di questo progetto c’è una storia. Un fatto di cronaca durissimo, doloroso, uno tra migliaia. E ci sei tu che ne hai fatto il punto di partenza narrativo di un lavoro concettuale. Che mi pare già una bella direzione. Perché hai scelto la storia della piccola Anna?
C’è una frase di Michael Berenbaum che è stata tra i punti di partenza di questo progetto: “Dobbiamo personalizzare la storia […]. Per la maggior parte della gente, la morte di milioni di persone è un fatto statistico, ma la morte di uno è una tragedia”. Anna Pardini fu la più giovane vittima dell’eccidio nazi-fascista di Sant’Anna di Stazzema. Aveva 20 giorni quando perse la vita.
Quando mi è stato proposto da Luigi Ficacci, soprintendente di Lucca e curatore del progetto, di pensare a un monumento per Sant’Anna di Stazzema, mi sono trovato di fronte a una serie di problematiche: che diritto ho di realizzare un monumento su questo fatto storico? Che strumenti ho a disposizione per contenere l’oceano che rappresenta? Che strumenti ho per evitare di scivolare sulla retorica comune?
La risposta sta nel raccogliere una parte di quell’oceano in un bicchiere e provare a dire qualcosa di sensato. Se Anna fosse ancora viva sarebbe poco più grande di mio padre, che pochi anni fa ho rischiato di perdere. È stato un cambio di binario che mi ha fornito la chiave di accesso a questa stanza in cui non sentivo il diritto di entrare. L’eccidio di Sant’Anna è divenuto nella mia mente l’interruzione di un’esistenza che avrebbe potuto incrociare la mia. Un passaggio di corsia da una dimensione distante e astratta a una vicinissima e reale.

La famiglia Pardini

La famiglia Pardini

Perché tornare oggi a parlare di resistenza e di fascismo?
Perché la Storia è fatta di persone e le persone commettono errori, li correggono e li ricommettono di nuovo, in una forma aggiornata. Tenendo conto di questa circolarità, è possibile pensare alla resistenza e al fascismo come appartenenti a un tempo scollegato dal nostro presente? I fatti odierni, la recrudescenza di posizioni che speravamo sopite, se non proprio debellate, sono solo alcuni aspetti che rendono evidente la connessione con quel capitolo della nostra storia. Quello che non mi interessa è fare cronaca o reportage: ci sono professionisti e canali ben più qualificati che se ne occupano. Cerco delle connessioni tra l’allora e l’adesso.
Un monumento deve tendere ponti, individuando connessioni e vicinanze, non distanze. La mia ricerca va nella direzione di un monumento che diventi una forma di riparazione e ricostruzione di ciò che è stato interrotto, un modo per “ricordare la vita con la vita”, usando le parole di James Young. Il mio intervento parte da un fatto storico preciso, ma da quel fatto intende attivare un processo di immaginazione nell’osservatore.

Gianni Moretti, Studio per Anna monumento all'attenzione, 2017, deposito di pigmento su stampa a getto di inchiostro, 21x29,7 cm

Gianni Moretti, Studio per Anna monumento all’attenzione, 2017, deposito di pigmento su stampa a getto di inchiostro, 21×29,7 cm

Il progetto è vasto. Che forma e che tempi avrà? Dove sarà installato?
Ho modellato la forma del monumento pensando al camminare come processo esplorativo e conoscitivo, in una forma che non fosse immediatamente comprensibile dall’occhio nella sua interezza. Si tratta di un intervento sul paesaggio che consta di circa 26.500 elementi, numero destinato ad aumentare, con l’aggiunta ogni anno di 365 elementi nuovi. Sono elementi di circa 20 cm di lunghezza da piantare nel terreno fino a lasciarne libera la sommità, una semisfera con un diametro di 4 cm, dorata e specchiante. Ne risulterà una nebulosa di punti dorati lungo la mulattiera che da Sant’Anna scende fino a Val di Castello, oggi percorso CAI.
Ha senso per me lavorare lungo questo percorso per un motivo preciso: invertire una direzione, da quella ascendente e raggelante percorsa dai nazisti, a una discendente e viva. Ho pensato alla linea diritta disegnata dalla marzialità dell’incedere militare, a cui ho contrapposto il movimento fluido di una danza che vive e vivifica uno spazio.
Una macchia di punti si dipanerà dunque per alcuni chilometri, adattandosi alla morfologia del terreno: ogni punto simboleggia un giorno non vissuto della vita di Anna, da allora a oggi.

Gianni Moretti, La Bell'ra (studi per un monumento all'attenzione), 2013, progetto, materiali vari su tavolo, dimensioni variabili (dettaglio)

Gianni Moretti, La Bell’ra (studi per un monumento all’attenzione), 2013, progetto, materiali vari su tavolo, dimensioni variabili (dettaglio)

Hai lavorato altre volte a dei monumenti? Cosa implica per te la dimensione “pubblica” dell’arte?
Nel 2013 ho lavorato a “La Bell’ra (studi per un monumento all’attenzione)”, un progetto per un monumento pubblico a Milano, in memoria della vittima di un femminicidio avvenuto nel 2010. La forma era visibile solo nelle ore notturne e anche in quel caso c’era una mimesi, un parziale inabissamento nel tessuto urbano: una forma che contiene un movimento, destinato a una visione quasi privata e in cui ci si imbatte casualmente.
Mi chiedo se esista una dimensione non pubblica dell’arte. Qual è il suo opposto? Privato? Ma nel momento in cui realizzo una forma che contiene il mio privato, sublimandolo a un livello che me ne permette la condivisione (e non il banale contrabbando), allora ecco che sono nel pubblico.

Ti chiedi tu stesso, come premessa al tuo progetto, “cos’è un monumento”. La neo categoria estetica dell’antimonumentale – che ci riporta alla famosa mostra del 2007 al New Museum – guida ancora il gusto dominante? Questo è un tempo fluido, secolarizzato, privo di gerarchie e di riferimenti certi, in cui è normale non possedere più il sentimento dell’“appartenenza”. L’identità è un patchwork progressivo, dai contorni mobili, mentre la vecchia idea di monumento rimanda a qualcosa di statico, di compiuto, di perenne. Quale può essere una chiave interessante, oggi, per occuparsi di monumenti?
Alice Miller, psicanalista svizzera, sostiene la presenza di due modalità di comprensione. Una cerebrale e l’altra fisica. La prima è relativamente semplice da raggiungere per una persona mediamente istruita e curiosa; la seconda, quella fisica, è molto più complessa perché affonda le radici in profondità.
A quest’ultima dovrebbe ambire il monumento, puntando a una circolarità della memoria che non fornisca un modello esterno e astratto, ma che costruisca connessioni temporali ed emotive. Si tratta di fare spazio sul piedistallo perché, come sostiene Pietro Gaglianò in Memento L’ossessione del visibile: “Il monumento istruisce: impartisce precetti, definisce canoni che concernono comportamenti collettivi e individuali, che regolano i meccanismi di inclusione o di emarginazione, tutto secondo la misura fornita dal disegno del potere. E molto raramente, o potremmo dire quasi mai, esprime in modo diretto lo spirito di una comunità, la cultura dei gruppi sociali. La Storia, assieme all’autenticità delle comunità, trova scarsa cittadinanza sul piedistallo”.

Gianni Moretti Quindici esercizi di salvataggio 2009 carta velina incisa 160 x 280 cm courtesy of Scatolabianca Monumento per Anna, vittima del nazi-fascismo

Gianni Moretti – Quindici esercizi di salvataggio – 2009

Funzione principale del “monumento” è quella di custodire il ricordo – e in certi casi la sacralità ‒ di un fatto, una storia, un personaggio, un luogo. La questione ha dei risvolti controversi: là dove ci sono monumenti più difficilmente si usano le ruspe, si abbatte, si costruisce, si fa tabula rasa. La memoria diventa barriera alla speculazione edilizia, ad esempio. Altre volte accade invece che la collettività rifiuti il monumento stesso, con i suoi simboli e le sue memorie, cercando di abbatterlo: il caso di Charlottesville è solo uno dei tanti…
C’è un altro aspetto ancora: può accadere che il monumento venga dimenticato. Ricordo un monumento dedicato a Pasolini, una scultura installata in un’area verde della periferia romana, oggi completamente abbandonata. Ricordo la spianata incolta attorno: un terreno rispettato sì, ma abbandonato, privo di vita.
Non basta che il monumento venga preservato, è importante che non venga dimenticato e in questo senso la comunità è parte fondamentale. Il monumento deve essere in grado di attivare un livello di attenzione su ciò che rappresenta, anche in termini di collante sociale. Torno a usare la parola “vivo”: compito del monumento è tenere viva la memoria e con essa il tessuto sociale che la custodisce.

Gianni Moretti, Studio per Anna Monumento all'attenzione, 2017

Gianni Moretti, Studio per Anna Monumento all’attenzione, 2017

Di che materiali sarà composto il tuo progetto? Marmo, bronzo, acciaio: un tempo l’opera d’arte pubblica non poteva che esistere nella prospettiva della durata. Poi è arrivata la Land Art, ad esempio. E via via la documentazione ha avuto un peso sempre maggiore: oggi la Rete annulla l’inconveniente della sparizione. Anna è fatta per restare? Per consumarsi? Per mutare nel tempo?
Nella mia ricerca ho sempre prediletto materiali effimeri: carta, carta velina, pigmenti, per la loro connessone con quelle condizioni di equilibrio e instabilità che mi hanno sempre ossessionato. In questo caso sono andato in un’altra direzione.
Nella formulazione tecnica mi sono affidato alla Giovanardi s.p.a, azienda di Concorezzo attiva dal 1919 nel campo delle soluzioni per la comunicazione. Abbiamo lavorato per mesi a una soluzione che tenesse conto della durabilità e che fosse ecologica: gli elementi saranno realizzati in lega di alluminio pressofusa con testa rivestita in acciaio. La modificazione della forma sarà però data dal tempo e dall’avanzare della natura, che inevitabilmente occulterà delle parti e trasformerà il percorso, in modi e tempi imprevedibili. Una imprevedibilità che apre allo stadio della cura e della manutenzione, parte integrante del progetto.

Gianni Moretti, Studio per Anna Monumento all'attenzione, 2017

Gianni Moretti, Studio per Anna Monumento all’attenzione, 2017

Altro capitolo: il rapporto col potere. Scriveva Angela Vettese, nel 2010: “Comunque lo si voglia considerare, il monumento non è morto. Piuttosto, risulta più facile per gli artisti accorti celebrare i perdenti e il loro dolore, piuttosto che il successo di un’impresa. La riuscita genera infatti potere e il potere sospetto”. È un po’ quello che stai facendo tu con Anna? Anche certe opere dedicate ai migranti vanno in questa direzione. Ma dove sta l’insidia, se c’è? C’è una retorica del potere, così come una retorica dei vinti. Sono temi da maneggiare con cura.
Pensare al dolore come unica nota che definisce i perdenti è una banalizzazione del reale che trasforma la realtà in fiction. Spesso nelle minoranze si determinata un processo di esclusione, come dire “tu mi rifiuti e io rifiuto te”, processo forse necessario in una prima fase ma che a un certo punto deve fare spazio all’integrazione. Non si tratta per me di celebrare i vinti, le minoranze, come entità astratte, completamente buone e indifese. Si tratta di celebrare la vita, pensando che ognuno di noi è parte di una minoranza in un certo momento della propria esistenza. Si tratta di pensare e pensarsi come entità spurie, in una dimensione elastica, duttile, oscillatoria.
Il monumento come strumento del totalitarismo aveva due scopi: offrire un solo modello possibile da imitare (astratto, inumano) e inibire l’immaginazione, che, in quanto forma di libertà, costituisce un potere. Nei monumenti (riusciti) del secondo dopoguerra trovo una rivitalizzazione dell’immaginazione: l’osservatore ha margine di movimento emotivo e cerebrale, oltre che spesso anche fisico.

S.Anna di Stazzema, Gianni Moretti intervista con Enrico Pieri, superstite della strage

S.Anna di Stazzema, Gianni Moretti intervista con Enrico Pieri, superstite della strage

E nel caso del monumento contemporaneo?
Oggi ci troviamo intanto di fronte all’erosione di un “maschile” unidirezionale e unidimensionale, in cui anche la figura femminile, quando presente, viene rappresentata come sua semplice propaggine. Inoltre, il monumento attuale si trova a considerare e integrare i tessuti molli, a interrogarli e presentarli in forme inedite, spesso discrete (penso ad esempio alle Stolpersteine di Gunter Demnig). Ciò che va evitata è l’apologia del vincente, come pure del perdente, in quanto soggetti portatori di una sola dimensione emotiva. Questo integralismo, oggi superato, non ha nulla a che vedere con la vita, che invece passa fluidamente da una condizione all’altra.

Hai coinvolto e coinvolgerai il territorio? Un’opera così imponente ha un impatto forte ed è auspicabile che non piombi dall’alto: conta molto il rapporto con i luoghi e con chi vi abita. Monumento significa ancora comunità?
A Sant’Anna, come in molti luoghi e stanze della mia vita, sono entrato in punta di piedi. Mi sono voluto allontanare dall’idea di un intervento sordo e autocelebrativo. Nel paese di Sant’Anna ci sono 15 residenti, una chiesa, un bar e un gruppo di case che, a occhio e croce, non supera le 15 unità, parte delle quali abbandonate. Tutto attorno: monumenti ai caduti, sculture, via crucis, ossario… Tutte forme necessarie ma a cui io non avrei potuto aggiungere niente. Così ho deciso di spostarmi e di far inclinare la testa all’osservatore. Inizialmente ho pensato di lavorare solo con le scuole, perché volevo sapere cosa gli studenti sanno e pensano di quella strage e volevo capire in che modo la loro energia avrebbe nutrito il monumento. Poi ho deciso di coinvolgere chiunque volesse farne parte, ottenendo il sostegno dei comuni di Stazzema, Camaiore e Pietrasanta, oltre che dell’Associazione Reduci Vittime di Sant’Anna di Stazzema, trasformando l’installazione di ogni singolo punto in azione condivisa. In buona parte sarà la comunità stessa a definire la forma del monumento e il suo sviluppo.

S.Anna di Stazzema, la mulattiera lungo la quale sarà installato il monumento di Gianni Moretti

S.Anna di Stazzema, la mulattiera lungo la quale sarà installato il monumento di Gianni Moretti

A proposito di spettatori: nell’era del digitale, che ha fortemente indebolito la capacità di concentrazione, come cercare l’attenzione del pubblico? Anna come si pone rispetto agli sguardi del pubblico? E come si colloca rispetto all’estrema visibilità del classico monumento-icona e alla visibilità parziale, laterale, dell’opera processuale/relazionale/ambientale?
L’attenzione è un processo cognitivo che richiede alcune condizioni specifiche, tra queste la prossimità e la misurabilità rispetto all’oggetto, senza che questo venga percepito come distante, pericoloso o fuori scala.  Anna – Monumento all’Attenzione impone una rotazione del capo, dall’alto al basso, e si aggrappa proprio a quella disattenzione e velocità: trattandosi di punti dorati e specchianti, sono gli unici elementi che riflettono la luce in un ambiente naturale. Un bagliore che coglie l’occhio lungo il percorso distratto. Qualcosa che accade, come un inciampo o uno spillo che si infila nella pelle. Una forma in bilico tra il visibile e il non visibile, capace di interrompere la “normalità” del paesaggio per inserirvi un elemento nuovo. Inaspettato, destabilizzante.

Helga Marsala

www.giannimoretti.com

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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