Miranda July apre un charity shop interculturale dentro Selfridges a Londra
Un negozio vero e funzionante, gestito da quattro associazioni benefiche di fede religiosa diversa. È l'ultima installazione dell'artista americana Miranda July, commissionata da Artangel a Londra.
I charity shop, negozi di oggetti usati gestiti da associazioni benefiche, sono una realtà diffusissima in Gran Bretagna (se ne contano circa 10mila). Colpita da questa particolare forma di commercio solidale, l’artista, attrice e regista americana Miranda July (1974) ha deciso di prenderlo come spunto per la sua nuova installazione, commissionata dall’associazione no profit Artangel. La particolarità del negozio della July, non nuova al territorio dell’arte performativa e relazionale, sta nella convivenza di quattro organizzazioni di fede religiosa diversa: una islamica, una ebrea, una buddista e una cristiana. L’Interfaith Charity Shop, visitabile fino al prossimo 22 ottobre all’interno del grande magazzino Selfridges di Oxford Street a Londra, è infatti gestito congiuntamente da Islamic Relief, Jewish charity Norwood, London Buddhist Centre e Spitalfields Crypt Trust. I prodotti in vendita sono gli stessi che si possono trovare in qualsiasi charity shop, più o meno ai medesimi prezzi: vestiti, libri, giocattoli e accessori vari, tutti rigorosamente usati o donati. I proventi del negozio verranno divisi equamente tra le quattro associazioni, che a loro volta doneranno il 2,5 per cento della quota a un altro ente di beneficienza a loro scelta.
UN’OPERA D’ARTE IN FORMA DI NEGOZIO
“Per molti anni ho coltivato il desiderio di fare un’opera d’arte sotto forma di negozio, sfruttando le convenzioni partecipatorie del commercio” ha spiegato la July, “quando venni per la prima volta a Londra, a vent’anni, rimasi molto sorpresa dal gran numero di charity shop, ma soltanto grazie a questa esperienza con Artangel sono riuscita davvero a comprendere quanto il modello economico di queste realtà sia radicalmente unico.” Nonostante la location un po’ posh, il negozio ha l’aspetto e il funzionamento di qualsiasi altro charity shop, ed è proprio su questo contrasto che gioca l’opera dell’artista americana, che ha riversato nell’impresa il suo stile bizzarro e poetico, toccando al contempo temi socialmente molto delicati. Non solo la convivenza delle religioni, che rappresenta il messaggio più lampante del progetto, ma anche l’economia di mercato e l’industria del lusso. Nei corridoi di Selfridges, infatti, per un paio di mesi, accanto ai costosi abiti firmati si potranno acquistare anche camicette usate a poche sterline. L’artista si è infine dichiarata interessata al fatto che molte persone utilizzeranno il negozio senza prendere coscienza della sua natura di opera artistica. Ha così commentato ai microfoni del quotidiano inglese The Guardian: “Mi piace il fatto che sia intrinsecamente partecipativo. Applichi il tuo gusto, scegli gli oggetti, puoi addirittura spogliarti completamente per provare vestiti appartenuti ad altre persone, e infine, quando compri, avviene una vera transazione”.
– Valentina Tanni
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati