Tracce, oggetti ed emozioni. Christian Boltanski a Bologna
MAMbo, Bologna ‒ fino al 12 novembre 2017. Battiti del cuore accolgono i visitatori all'ingresso di “Anime. Di luogo in luogo”, la grande retrospettiva che Bologna dedica a uno degli artisti contemporanei più legati alla città, Christian Boltanski. Su più sedi, il progetto usa varie forme espressive, dall'installazione alla performance ai manifesti.
Era il 2015 quando Christian Boltanski (Parigi, 1944) portò il suo Les Archives du Cœur a Bologna, allestendo, attiguo all’hangar che accoglie lo scheletro del DC-9 Itavia precipitato vicino Ustica, un locale silenzioso in cui uno stetoscopio era collegato a un registratore: chi lo desiderava poteva donare il proprio battito cardiaco, facendolo così diventare un piccolo tassello di uno sterminato archivio. Percorrendo a ritroso la relazione tra il capoluogo emiliano e l’artista francese, va ricordata la stessa installazione, fortemente emozionante, pensata per custodire il memoriale dedicato alla strage area avvenuta 37 anni fa e che ora è parte integrante della mostra organizza dal MAMbo. Se le zone urbane periferiche fino a tutto agosto erano costellate dai trenta cartelloni pubblicitari di grande formato di Billboards che mostravano gli occhi dei partigiani bolognesi tratti dal Sacrario della Resistenza di Piazza Nettuno, l’altra sede di mostra è un’ex polveriera bunker dove 500 chilogrammi di abiti usati, ricoperti da coperte isotermiche dorate, costituiscono Réserve, installazione dedicata alle vittime dei naufragi di ogni tempo. Il nucleo principale del progetto è però allestito nell’imponente Sala delle Ciminiere del MAMbo, immaginata da Boltanski come se fosse una cattedrale a tre navate.
LA MOSTRA PRINCIPALE
Oltrepassata la soglia costituita dal video Entre temps proiettato sulla tenda, ci si immerge immediatamente nelle profondità delle anime evocate dal titolo grazie ai suoni, a molti sguardi ‒ tratti da fotografie anonime e stampati su leggeri tessuti che, mentre osservano, costringono a un loro attraversamento (Les Régards, 2011) ‒, alle lampadine che illuminano altri volti, come quelli dei bambini polacchi di Monuments. Al centro di tutto, un enorme cumulo alto 7 metri (Volver, 2015) rivestito ancora di coperte isotermiche, primo oggetto occidentale con cui entra in contatto chi sbarca da mondi lontani.
TRA OPERE INEDITE E CAPISALDI
Nella sala speculare a quella dove risuona Coeur, torna a essere coinvolto l’udito con la videoinstallazione Animitas (blanc), esposta per la prima volta. Campanellini legati a bacchette di metallo mosse dal vento nel deserto di Atacama in Cile sono protagonisti del lungo filmato (11 ore totali): coloro che vi sostano davanti, respirando il profumo del fieno e dei fiori che coprono il pavimento, “possono sognare o meditare, ma non trovare risposta”. Il curatore Danilo Eccher definisce l’opera “ingorgo emozionale”, e lo è proprio, soprattutto se si pensa che nel luogo delle riprese l’installazione riproduce una mappa celeste del giorno di nascita dell’artista ‒ quel deserto è uno dei punti dove si osservano meglio le stelle ‒ e che proprio lì Pinochet faceva abbandonare i cadaveri delle sue vittime. Nelle “navate laterali” del MAMbo si collocano numerosi lavori storici di Boltanski: Containers (2010), Aprés (1980-90), Autel Chases (1987), Fantôme de Varsavie (2002) e altre. “Nelle mie opere ci sono molte persone, migliaia di svizzeri e centinaia di bambini polacchi. E tonnellate di abiti, perché fin dall’inizio ho pensato che la foto di un essere umano, un abito usato, il battito di un cuore, un corpo morto fossero tutti equivalenti: mostrano tutti l’assenza”. Ma nella nostra preziosa memoria rimangono le anime, e i luoghi, e Boltanski ce lo ricorda con forza.
‒ Marta Santacatterina
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