Fra tradizione e contemporaneità. Ai Weiwei a Milano
Galleria Massimo De Carlo, Milano ‒ fino al 18 novembre 2017. La galleria milanese ospita il controverso artista cinese. Dando visibilità alla dialettica fra tradizione e spirito contemporaneo che anima la ricerca di Ai Weiwei.
Un Ai Weiwei (Pechino, 1957) senza piglio da breaking news o da subitanea indignazione da “browsing” va in mostra alla Galleria Massimo De Carlo, all’interno della cornice storica di Palazzo Belgioioso a Milano.
Patriota militante e artista concettuale, le azioni artistiche si amalgamano all’ingorda presenza di Ai Weiwei sui media globali, in parte censurata in Cina dal sistema di firewall ufficiale del Governo. Quella che veicola su Instagram è una narrazione compulsiva attraverso la pubblicazione, ogni giorno, di centinaia di fotografie. Twitter è una trincea dalla quale scrivere di libertà, democrazia e poesia attraverso centoquaranta caratteri.
Nella mostra a Milano, invece, l’artista cinese insiste sull’oggetto e sull’installazione per manovrare le fila di una dialettica amara fra tradizione e contemporaneità. Garbage Container è una scultura monumentale in legno hauli che, nel “design” simile a quello dei cassonetti per l’immondizia delle città cinesi, evoca la tragedia di cinque clochard morti per avvelenamento da monossido di carbonio. Sulla parete che accoglie il pubblico, è installata The animal that looks like a lama but is actually an alpaca, una carta da parati color bianco e oro su cui compaiono, in all over, il logo di Twitter, catene e alcuni alpaca, “tag” personale e simbolo di libertà perché, fuori dalla rete e dai device della tecnologia, Weiwei è un artista dissidente in carne e ossa.
LIBERTÀ D’ESPRESSIONE E AZIONI POLITICHE
Dalla parte del dissenso e della difesa della libertà d’espressione la famiglia Weiwei sta da generazioni. Per la sua opposizione al regime, nel 2011, l’artista è arrestato all’aeroporto di Pechino rimanendo in isolamento per 81 giorni. Di questa vicenda personale e politica racconta, alla galleria Massimo De Carlo, Bicycle Basket: un cestino da bicicletta pieno di fiori di porcellana e un video testimoniano la rivendicazione quotidiana e non violenta contro il ritiro coatto del suo passaporto. Infine, nel salone centrale, Weiwei rivolta la tradizione culturale di cui è figlio, in un minuetto senza fine tra sentimento di appartenenza e sabotaggio. Immerge in secchi di vernice industriale i vasi tipici della manifattura cinese fino a distruggerli nella performance Dropping a Han Dynasty Hurn del 1995, in mostra ricordata da un trittico in bianco e nero realizzato mediante un puzzle di migliaia di mattoncini di LEGO.
Intingere la violenza della Storia nell’opulenza dei materiali e nell’elegia alchemica dell’arte: questa è la strategia che segna la ricerca e l’azione politica di Weiwei. Free speech si legge, come un mantra, nella mappa geomorfica in cui l’artista si serve di un’antica tecnica artigianale di lavorazione della porcellana, caratteristica dello stile imperiale della dinastia Qing. Senza la libertà di espressione e di circolazione, esiste solo la barbarie. Un post suonava più o meno così, nel suo blog, qualche tempo fa.
‒ Giusi Affronti
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