Collezionare echi. José Barrias a Milano
Nuova Galleria Morone, Milano ‒ fino al 10 novembre 2017. Vicino e lontano è il binomio per ridisegnare il proprio doppio esistenziale. E l’arte è il mezzo attraverso cui José Barrias ripercorre questa doppia identità, permanente e sfuggente.
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Sono tanti i linguaggi che José Barrias (Lisbona, 1944) mette in campo ‒ fotografia, pittura, disegno, scultura, oggetti trovati e la parola in forma di scrittura ‒ per parlare degli episodi significativi per lui. Visitare una mostra di Barrias vuol dire entrare nel suo studio attraverso simboli facilmente riconoscibili. Portoghese quanto milanese, miscela ricordi, luoghi interscambiabili, e procede per accumulo di significati. La mostra, con poche ma significative opere, si presenta come una grande installazione e l’invito è l’Oltre. Lo sguardo compie una forzatura visiva, oltre la linea dell’orizzonte e la finestra prospettica, fino a trovarsi in un labirinto di stili inclassificabili. L’uovo e l’occhio sono simboli forti della mostra e ricorrono sempre nei lavori. Piccolo mondo (1985-1995) e Sacra conversazione (2007) richiamano il pieno simbolico dell’uovo rinascimentale. Mentre i due Senza titolo del 2007 sono gli occhi della visione, qui aperto e là chiuso; con il Senza titolo di dieci anni dopo che fa echeggiare la scritta “Eccetera”.
‒ Claudio Cucco
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