Rivoluzioni spaziali. Gli Ambienti di Lucio Fontana a Milano
HangarBicocca, Milano ‒ fino al 25 febbraio 2017. L’Hangar milanese fa da cornice ideale agli Ambienti spaziali di Lucio Fontana. Emblema delle rivoluzionarie teorie sullo spazio messe a punto dall’artista ormai settant’anni fa.
Ci sono degli artisti che non finiscono mai di sorprendere anche gli addetti ai lavori, personalità talmente straripanti che pure dopo molti anni dalla loro scomparsa riservano scoperte straordinarie. È questo il caso di Lucio Fontana (Rosario, Argentina, 1899 ‒ Varese, 1968) ai cui Ambienti spaziali HangarBicocca dedica una mostra assai interessante curata da Vicente Todolí, Marina Pugliese e dalla restauratrice Barbara Ferriani. Nove ambienti sono stati ricostruiti con acribia filologica. Sono l’esito più innovativo delle teorie sullo spazio di Lucio Fontana, che ne scrive, quando è ancora in Argentina, nel 1946, nel Manifiesto Blanco. Quindi l’arrivo nella Milano dell’immediato dopoguerra, dove, molti anni prima, aveva studiato scultura a Brera con Adolfo Wildt. È una città distrutta, ma piena di voglia di fare. Qui inizia a collaborare con Carlo Cardazzo e con la sua Galleria del Naviglio, in via Manzoni.
Ne nasce il Manifesto dello Spazialismo, che avrebbe rivoluzionato la storia dell’arte. È l’esito di una nuova rappresentazione visiva legata alle dimensioni di tempo e spazio. È il superamento della bidimensionalità della tela. Anche il ruolo dello spettatore cambia radicalmente e la mostra all’Hangar ne è prova evidente. I visitatori sono chiamati a intervenire nello spazio a viverlo, a percorrerlo.
UN APPROCCIO RIVOLUZIONARIO
Fontana è un uomo aperto a quanto sta succedendo anche oltre il mondo dell’arte. Comprende l’importanza della tecnica, delle tecnologie moderne. Desta una certa meraviglia quanto scrive sulla televisione all’alba del 1949.
La portata di Fontana, e la mostra all’Hangar lo dimostra appieno, non è certo solo di ambito italiano. Nel 1947, esattamente settanta anni fa, l’artista in un suo scritto parla di “forme artificiali, arcobaleni di meraviglia, scritte luminose”. Se i Concetti spaziali, i Buchi, i Tagli lasciano il mondo dell’arte senza fiato e ancora oggi non mancano di suscitare una certa sciocca ironia, a detta di Fontana, l’esito più sperimentale e innovativo delle sue ricerche sono appunto gli Ambienti spaziali.
LA MOSTRA
Nella grande mostra milanese lo spettatore, in un percorso al buio, è chiamato a prestare la sua attenzione a ogni singola opera con cui si crea un rapporto privilegiato.
L’opera che apre la rassegna è la Struttura al Neon (1951), apparato decorativo per la IX Triennale di Milano. Si tratta di una struttura fluorescente di circa 100 metri, alla quale fa seguito una sequenza cronologica di ambienti che parte dall’Ambiente spaziale a luce nera (1948-1949), presentato presso la Galleria del Naviglio a Milano nel 1949, decisamente non compreso dal pubblico di quegli anni. L’ambiente successivo, di quindici anni dopo, è stato realizzato con Nanda Vigo in cui è un tappeto di moquette rossa.
La mostra è un’occasione straordinaria di vedere opere come l’ambiente concepito per documenta nel 1968, anno della scomparsa dell’artista. Si tratta di una struttura labirintica bianca, che porta a un grande taglio sul muro, il segno dell’artista, che ne attesta il superamento fisico e concettuale: il passaggio dalla tela allo spazio con tutto quello che esso comporta.
‒ Angela Madesani
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