Chiara Fumai è viva. La riflessione d’artista di Pino Boresta
La morte di Chiara Fumai ha profondamente colpito il mondo dell’arte. Pino Boresta posa il suo sguardo d’artista sull’intera vicenda, sottolineando la necessità di mantenere viva l’opera della Fumai nel presente. Mentre la galleria di Guido Costa, a Torino, le dedica la prima mostra dopo la sua scomparsa.
Chiara è viva e noi siamo morti.
Chiara è viva e pure io non mi sento tanto bene.
Chiara è viva e io non mi sento bene.
Chiara è viva e noi?
Mi è venuta voglia di morire.
… e sì! Cari miei dopo aver letto tutte le belle parole, gli apprezzamenti e gli encomi dispensati da molti addetti ai lavori, all’artista Chiara Fumai trovata morta nella galleria Doppelgaenger di Bari dove era ospitata è sopraggiunto pure a me il desiderio di morire, per ricevere elogi a profusione.
… e sì! Devo proprio confessarvelo, questo desiderio c’è stato. Panegirici sentiti, lodi appassionate e coccodrilli commoventi di conoscenti e non mi hanno fatto desiderare qualcosa che sembra assurdo dire, lo so, ma è così!
… e sì! Cosa ci posso fare? Sarei stupido e ipocrita a nascondervelo, tutto quest’amore e ammirazione che esplode, per certi aspetti improvvisamente nei confronti di un artista, non può non farmi/farci riflettere, altrimenti l’unica cosa che rimarrebbe da fare, a noi altri artisti ancora vivi, sarebbe quella di provare invidia, e io non voglio invidiare, io voglio capire, voglio cercare di comprendere, e se non vi riesco allora desidero morire, morire per godermi tutto quello che si scriverebbe su di me. Come? Voi vi state chiedendo come ci riuscirei? Questione di stringhe, non quelle delle scarpe, bensì quelle della famosa teoria (Teoria delle stringhe – Universi paralleli) di cui io ho trovato la chiave. E voi potete anche essere scettici e non credermi, ma perlomeno non fate gli ipocriti, sapete bene che questo è in realtà il sogno segreto di quasi tutti noi, specialmente se poco apprezzati in vita. Purtroppo però il rischio che non ricordi dove ho messo la chiave c’è, ed è per questo che allora un coccodrillo, intanto, me lo sono fatto da solo e ve le riporto alla fine di quest’articolo in un gioco che a Chiara avrebbe sicuramente divertito, perché anche se io non l’ho conosciuta personalmente, scusatemi la presunzione ma credo di aver capito qualcosa di lei che altri hanno avuto modo di apprezzare frequentandola in vita, e che noi artisti di un certo tipo percepiamo a distanza.
Chiara ha frequentato il Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti e divenne celebre in ambito artistico nel 2010 durante una lecture alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, e pur non avendo un curriculum internazionale aveva avuto la fortuna di essere stata invitata da Carolyn Christov-Bakargiev alla Documenta del 2012, dopo che quest’ultima aveva avuto modo di ascoltare e assistere tra il pubblico a un suo talk che consisteva nel raccontare (e ci tengo a precisare raccontare, non spiegare) in maniera non ortodossa il proprio lavoro. Questo avvenne sempre nel 2010 (anno magico per lei) nello spazio non profit per l’arte contemporanea della periferia romana 26cc, invitata da Cecilia Casorati e Sabrina Vedovotto. Pare che a destare l’interesse di Carolyn sia stato l’attivismo di Chiara nei confronti dei diritti delle donne, questione da sempre cara alla famosa curatrice e pertanto valore aggiunto nel lavoro di un artista, esattamente come lo è quello di tutti coloro che con cuore e anima combattono contro ogni tipo di discriminazione. Per cui giusta e oltremodo coraggiosa la scelta della Bakargiev, brava!
UN’ARTE ANTICONFORMISTA
Purtroppo però quella che a detta di molti è stata una carriera fulminante non deve aver aiutato la Fumai che era soggetta a depressioni. I suoi stati depressivi si erano accentuati proprio nel periodo precedente quella sua folle decisione finale. Lei stava vivendo, a detta di alcuni, un momento di vita privata molto delicato, e forse già amareggiata chi sa da cosa è sopraggiunta qualche brutta notizia, che ha fatto scivolare quell’ultima crudele goccia in un vaso già colmo di disperazione che è così tracimata. Sì! Proprio quel suo personalissimo vaso di Pandora regalatogli chi sa da chi, e dal quale estraeva nuovi dolori da mostrare crudamente al mondo come solo lei sapeva fare con i suoi lavori e le sue azioni. Chiara Fumai era una brava e risoluta artista anticonformista, che ci ha voluto parlare con toni forti dei mali del mondo cui lei era più interessata, e lo stava facendo bene: mettendo in luce con forza quello che voleva dire, e mostrandoci in controluce le debolezze di cui voleva parlarci. Tema a lei caro: il ruolo della donna, analizzato in maniera anarco-femminista, anche in relazione al sistema dell’arte dove spesso espletava il tutto con performance di femminismo “politico”, così le ha chiamate qualcuno.
“… Distruggi il tuo sesso maschile… Sei un maschio completamente egocentrico prigioniero di te stesso, incapace di osmosi con le cose del mondo, d’identificazione con gli altri, di amore, di amicizia, di affetto di tenerezza. Sei un animale totalmente isolato, incapace di relazioni con chiunque”.
Questo sembrò dicesse a me Chiara quando riattualizzò un durissimo testo della scrittrice e attivista femminista statunitense Valerie Solanas (quella che sparò ad Andy Warhol, per intenderci) con il quale vinse l’XI edizione del Premio Furla nel 2013. Ebbene sì! A volte mi sento così! Aveva ragione! Probabilmente è proprio questo il mio/nostro grosso problema (e il dilagare dei femminicidi ne è la prova). Il messaggio mi arrivò forte e chiaro e giuro che da allora ci sto lavorando e non cerco giustificazioni, ma se è vero che l’artista perfetto non esiste e che l’opera d’arte vive il suo massimo fascino nell’imperfezione, allora cara Chiara dammi ancora un po’ di tempo e fiducia e qualcosa di buono sono sicuro che riuscirò a tirare fuori pure io, e forse riuscirò a farmi capire senza dover arrivare alla seccante e tragica conclusione a cui arrivò Gerard Depardieu nel finale del film L’ultima donna del regista Marco Ferreri.
DEFINIZIONI E DOMANDE
Chiara a detta di molti era quasi sempre incazzata, “like me!…” mi verrebbe da dire, ma questo non ha importanza, e merita tutta la stima di chi ha voluto mettere nero su bianco, dopo la tragedia, la sua ammirazione, ma spero che lo abbiano fatto anche quando era in vita e presente con il suo segnalino su questo tabellone da gioco chiamato “vita”:
– Nicolas Ballario sostiene che possedeva il genio di un’artista sfrontata, che esibiva il coraggio di chi ha una visione. “Like me!…” sfrontato, coraggioso, ma idiota.
– Fabio Macaluso l’ha definita la più grande artista performativa italiana. “Like me!…”, chiaramente tra i maschietti perché le donne sono imbattibili.
– Pietro Marino così descrive quell’ultimo gesto: il mistero di una morte non annunciata e non presagita se non negli oscuri messaggi di un’arte generata dai tormenti della vita. “Like me!…” Anche le mie croci finisco spesso su piazza.
– Emanuela Longo, invece, ha detto che vi era una linea sottile, quasi impalpabile, tra la sua arte e la vita che emergeva dalle sue opere. “Like me!…” anch’io mi sento così.
Ma una domanda continuerà ad assillarci:
Chiara perché lo hai fatto? Eppure le gratifiche e le soddisfazioni non ti mancavano, stavi preparando una mostra per l’anno prossimo lì nella galleria che ti stava ospitando, eri in procinto di un nuovo debutto con una grande mostra che avrebbe dovuto tenersi, non si è capito bene se da Rino (galleria Rino Costa di Torino Valenza in provincia di Alessandria) o da Guido (galleria Guido Costa di Torino), oppure da entrambe. E allora cara Chiara ti dico questo: tu per me, anzi per tutti noi, lontano fisicamente dal luogo della tragedia, sei viva, non sono io a dirlo ma è il paradosso del gatto nella scatola, quello di Schrodinger. E questo potrebbe valere anche per tutti coloro che ti hanno voluto bene o che dicono di averti/volerti bene. Inutili le polemiche, giusto che chi voglia continui a piangerti, ha tutto il diritto di farlo, ma credo sia altrettanto giusto che ora arrivi quanto prima il tempo di vivere la tua opera per la quale hai vissuto/vivi e quindi ricordarti con tutto quello che si fa, in genere, per ricordare un artista. Se questo sarà fatto, allora niente e nessuno potrà privarci della tua presenza, e il gatto nella scatola è vivo come tu sei viva in tutti noi, e continuerai a vivere tra noi con la tua dirompente opera. E per tutti noi che mai abbiamo avuto la fortuna di frequentarti tu sarai viva, viva, più viva che se tu lo fossi davvero. Perciò cara Chiara, sperando di aver fatto la mia parte con quest’articolo alla Boresta, ti saluto e forse ci si vedrà e ci s’incontrerà presto su qualche altra stringa dove potremmo approfondire i diversi, o gli stessi, punti di vista.
IL CASO PINO BORESTA
Quando Pino Boresta muore, il 6 febbraio del 2021, non ha ancora sessant’anni.
Alla radio l’amico Stefano W. Pasquini lo saluta come una delle figure più importanti del panorama artistico internazionale, le cui invenzioni sublimi hanno aperto, e apriranno, infinite porte per l’arte delle generazioni future. Un’affermazione che ha il sapore di una profezia, decisamente in anticipo sui tempi, come del resto tutta la vicenda di cui Boresta appare protagonista. In vita Pino Boresta è ignorato, se non osteggiato, dalla critica ufficiale. All’indifferenza degli addetti ai lavori si aggiunge però la marea montante di una stampa, quella non specialistica, capace solo di mettere in risalto e concentrare l’attenzione del pubblico sugli aspetti più provocatori e dissacranti della sua opera. Una tale combinazione di fattori ha creato come un “blocco”, una sorta di chiusura nei confronti di questo artista, ha fatto sì che una vera e propria comprensione del rinnovamento estetico da esso propugnato tra la fine dell’ultimo decennio del Duemila e l’inizio del successivo, potesse iniziare solo alcuni anni dopo la sua scomparsa, in concomitanza, da un lato, con la mutazione dei criteri e delle modalità di approccio all’arte contemporanea da parte della critica stessa, dall’altro con il cambiamento e l’evolversi dei costumi e degli usi della società. A fronte di un’arte concettuale che mostra evidenti segni di stanchezza, ma domina incontrastata il mercato e il panorama artistico italiano e internazionale, Boresta sceglie, a partire dal 2007, una via che di quella tendenza punta al superamento. Una tendenza minoritaria, che lo vedrà portare avanti quasi in solitaria un lucido discorso di rinnovamento radicale dei linguaggi, degli statuti e delle pratiche dell’arte stessa tramite una deroga dall’ipotesi concettuale che, all’epoca, appare ai più inconcepibile. Condurre un’indagine su Pino Boresta è perciò impresa ardua. Difficile risulta dare una definizione univoca alla sua variegata e polimorfica attività, difficile inquadrare la sua inesauribile inventiva in un ambito definito, difficile giudicare il suo personaggio e infine orientarsi nella selva delle molteplici pubblicazioni che lo riguardano, senza confondersi le idee.
Chi era dunque Pino Boresta?
Da dove uscivano le sue mirabolanti invenzioni?
Divertitevi a ricomporre il testo originale tratto da Facebook a firma di Antonella Fabemoli, scovando le parole, le parti (in ordine di apparizione) da rimpiazzare con quelle originali qui sotto riportate:
Piero Manzoni
Piero Manzoni
1963
trent’anni
Lucio Fontana
Manzoni
Piero Manzoni
degli anni Cinquanta
informale
incontrastato
Manzoni
1957
Pittorica
Piero Manzoni
mille
Piero Manzoni
– Pino Boresta
Il libro/saggio dal titolo “Il caso Piero Manzoni ‒ Quando l’escremento diventa Arte” di Antonella Fabemoli si può acquistare su Internet sul sito: ilmiolibro.kataweb.it.
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