Profondità sotterranee. Clémence de La Tour du Pin a Torino
Fortezza Sotterranea del Pastiss, Torino ‒ fino al 29 novembre 2017. Le gallerie della Fortezza torinese schiudono per la prima volta l’accesso al pubblico. Conducendolo a tredici metri di profondità, alla scoperta dell’opera di Clémence de La Tour du Pin.
Un’eco stridula che soccorre il ricordo delle cose lontane; un fioco oscuro gemito di umidità e il calore, uterino e avvincente, di ben tredici metri di profondità. Questi i primi schizzi, le prime sinestesie del viaggio – perché sarebbe riduttivo descriverla come una semplice mostra d’arte contemporanea – che Treti Galaxie e l’artista francese per la prima volta in Italia Clémence de La Tour du Pin (Roanne, 1986) hanno concepito, in collaborazione con il Museo Pietro Micca e l’Associazione Amici del Museo Pietro Micca, presso le gallerie e gli ambienti della Fortezza Sotterranea del Pastiss di Torino (costruita nel XVI secolo per volontà del Duca Emanuele Filiberto di Savoia). Luoghi prima di oggi mai concessi al pubblico e costretti a vivere nella notte eterna; perciò ricchi di ombre, storie dissolte e segreti mai svaniti – immobili quanto le stalattiti biancastre luccicanti alla luce delle torce sulle pareti – insomma, luoghi necessariamente primitivi, nei quali il contatto crudo con la terra conserva una suggestione originaria da cui non si può che restare sedotti.
SUBCONSCIO E APPARIZIONI
Il tragitto collettivo, sempre controllato e guidato dal curatore Matteo Mottin, “posa sopra un’erma ed ha uno scarto”: ci si sofferma di fronte alla prima delle due installazioni di Clémence. Immobili di fronte all’apparizione, una premessa, un exordium in cui la tenerezza tra forme, materiale e luogo chiariscono in prima battuta la motivazione del vagare sotterraneo. È infatti la rappresentazione del subconscio: l’aria si assottiglia e, come in un sogno sovvertente, nulla che non tragga la propria necessità dall’oggetto pare fondamentale. Il bianco dei castelli di carta – ora nella loro luminosa purezza irrigiditi e destrutturati – sfida il canone spaziale ancorato alla parete buia come le stalattiti che piovono dal soffitto stretto della galleria; l’innocenza del ricordo è deformata da un segno nuovo pur restando inequivocabile.
UN GIOCO DI REMINISCENZE
Si giunge infine alla seconda installazione, enigma limbico e peroratio del discorso di Clémence. Un gioco di reminiscenze: un pentagramma metallico e tridimensionale trattiene ampolle e alambicchi che a loro volta filtrano e raccolgono dall’atmosfera del luogo, tra vapori impuri e ombre, essenze profumate. Essenza come essenziale; note profumate come note su un pentagramma; inconscio come solenne ricerca della memoria: il potere evocativo delle parole partecipa all’esperienza di Cleménce che, per metonimia, coltiva una fascinazione feticistica per il prozio Charles de Brosses, filosofo e linguista inventore del termine “feticismo” che ha esplorato la Cittadella nel 1740.
La ricerca dell’essenza della memoria è la toccante chiave di lettura di tutta l’esperienza regalata da Treti Galaxie; si aggiunga un’inedita Cleménce, che fornisce agli spettatori gli strumenti per ritrovarsi – parafrasando alcuni versi di Mario Luzi – perduti nell’infinito della perdita, ovvero nel sogno umano della pura assolutezza.
‒ Federica Maria Giallombardo
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