Vietato non toccare. Una mostra in HangarBicocca a Milano

La mostra allestita all’HangarBicocca di Milano sta facendo impazzire tutti, fra social network e visita in tempo reale. Le ragioni? L’abolizione di uno dei divieti da sempre connaturati all’esperienza espositiva.

La mostra Take me (I’m Yours), all’HangarBicocca, curata da Christian Boltanski, Hans Ulrich Obrist, Chiara Parisi e Roberta Tenconi, offre un contributo non da poco sull’annosa vicenda dell’opera d’arte e del suo valore, riuscendo miracolosamente a ridurla a oggetto di scambio, quindi di nessun appeal commerciale e, contemporaneamente, a irresistibile feticcio. Nata originariamente nel 1995, alla Serpentine Gallery di Londra, la rassegna è stata riproposta a Parigi, Copenhagen, New York e Buenos Aires in diversi riadattamenti, mantenendo però salda l’idea di mostra da condividere e trasformare in fieri, con lavori da trattenere gratuitamente o scambiare con memorie personali. A Milano il successo dell’operazione, nei primissimi giorni di apertura, è stato virale con la spiacevole conseguenza, però, di generare un accaparramento selvaggio delle opere, percepite come irresistibili “must have” e dunque “rivalorizzate” dalla loro mera musealizzazione. Di conseguenza, oltre a prevedere la presenza di antropologi e sociologi che studiano in diretta i comportamenti generati dall’inedita modalità di fruizione, ora, per prendere le opere e finanziarne il riassortimento, è necessario acquistare, al costo di 10 euro, la borsa firmata Boltanski, un feticcio da aggiungere agli altri in esposizione.

Francesco Vezzoli, Take my Tears, 2017. Courtesy Francesco Vezzoli & Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

Francesco Vezzoli, Take my Tears, 2017. Courtesy Francesco Vezzoli & Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

DONI E CACCE AL TESORO

Sono cinquanta gli artisti, di diverse generazioni, chiamati ad aggiornare un concept che, alla luce della condivisione immateriale dovuta ai social, aggiunge nuove considerazioni in merito al dono, tema, del resto, non estraneo a molti degli artisti selezionati (Félix González-Torres, Rirkrit Tiravanija, Alberto Garutti, Cesare Pietroiusti). Del Quai de la Gare (1991), opera di Boltanski da cui partì l’idea, permane la montagna di vestiti di seconda mano da prendere liberamente, ma manca la busta “Dispersion” che, nella prima versione, ne sottolineava il destino di totale dissolvimento. Su questo registro, Gilbert & George mettono a disposizione del pubblico spillette con slogan dissacranti in cui i ‘vaffa’ si mescolano a rivendicazioni collettive di fellatio e similia, ripresi in grossi pannelli, ovviamente inamovibili. Giorgio Andreotta Calò, fuori dal coro, il suo contributo lo nasconde, trasformando la condivisione in una collettiva caccia al tesoro.

Alison Knowles, Homage to Each Red Thing, 1996. Courtesy Alison Knowles & James Fuentes, New York & Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

Alison Knowles, Homage to Each Red Thing, 1996. Courtesy Alison Knowles & James Fuentes, New York & Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

TRA GIOCO E SENSO DEL PROIBITO

Se non si è interessati al gioco, comunque, si può far altro. Si possono mangiare i cioccolatini di Carsten Höller con il packaging “Future” oppure i biscotti della fortuna firmati dal duo Ian Cheng e Rachel Rose; si può andare a cena con Douglas Gordon previa partecipazione alla lotteria abbinata; si può prelevare il poster di Maurizio Cattelan, a sua volta donato a lui da Alighiero Boetti; si possono pescare le sardine di Daniel Spoerri; si possono usare gli stencil di Lawrence Weiner con la scritta in pidgin english NAU EM I ART BILONG YUMI, ossia “The art of today belongs to us”; si possono arricchire con personali desiderata i due alberi di limoni di Yoko Ono, posizionati all’ingresso e già grondanti di speranzosi bigliettini; si può scattare un selfie per l’ecumenico progetto di Franco Vaccari, tecnologicamente rivisto rispetto all’originale del 1972.
Molti bambini in giro e un ritorno all’infanzia per tutti, con la sporta in carta di Boltanski in mano pronti a prendere questo o quello, avidi, curiosi e timorosi di fare ciò che in qualsiasi altro contesto espositivo non si può fare. L’esperimento quasi ludico di Boltanski e Obrist funziona ancora, contiguo ai siderali Ambienti spaziali di Fontana e agli ieratici Sette palazzi celesti di Kiefer.

Marilena Di Tursi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi, giornalista e critico d'arte del Corriere del Mezzogiorno / Corriere della Sera. Collabora con la rivista Segno arte contemporanea. All'interno del sistema dell'arte contemporanea locale e nazionale ha contribuito alla realizzazione di numerosi eventi espositivi, concentrandosi soprattutto…

Scopri di più