Julian Beck. L’uomo totale e la pittura a Napoli

Un attraversamento cronologico e critico della pittura di Julian Beck esposta negli spazi di Casa Morra a Napoli, all’interno della mostra “I giganti dell’arte e del teatro”.

Lavorare è sicuramente essere vivo;
ma la posa di perseguire l’immortalità spetta (o non spetta)
troppo alla vanità di essere santo (sic) sul serio”.
Julian Beck, Diari, 15 agosto 1952

In una condizione particolarmente difficile come quella vissuta in America negli Anni Quaranta e Cinquanta, il lavoro pittorico di Julian Beck (New York, 1925-1985) si innesta perfettamente nel clima di afflizione che, frutto degli avvenimenti articolati che andavano mutando, in quel ventennio, cambiò l’assetto mondiale. Nel passaggio storico dall’isolazionismo all’imperialismo, nella spasmodica lotta al comunismo e all’affermazione patriottica, in questa capricciosa investitura a potenza primaria della propria patria, nella difesa del concetto di guerra come unica possibilità d’azione, la ricerca pittorica di Beck, molto vicino alla cifra espressiva dell’azionismo di Jackson Pollock (suo compagno di strada) e all’espressionismo di Willem de Kooning, si sviluppò con direttive ben precise, diventando più funzione che sostanza, attraverso un linguaggio frutto dell’agitazione data dal cambiamento e da una necessità volta al combattimento di quello stesso scenario imposto.
La ricerca di Beck, nei primi Anni Quaranta, nasce dal bisogno di definire la forma. In tutto il primo decennio di attività si dedica a indagare le coordinate in cui muoversi e, non di meno, al ruolo dell’artista nella società. Nel suo diario, a proposito della sua pittura e degli artisti, scrive: “La mia pittura è un attaccamento a produrre cose belle per insegnare all’occhio dello spettatore a cogliere alcune delle meraviglie che esistono sulla terra e in ogni suo metro quadrato”.  E ancora: “Sono consapevoli [gli artisti] di dover dipingere non solo le figure, ma lo spazio tra le figure”.  È così che Beck vede l’artista, come un uomo che deve rendere l’altro più consapevole alla visione.
Ed è su questi parametri che egli lavora, costruendo una visione consapevole dettata dalle intense pressioni esistenziali e dalle nette pulsioni emozionali ed espressive, decostruendo la composizione pittorica per dare luogo all’atto stesso della pittura, attraverso un lavoro cromatico equilibrato e poetico, rincorrendo anch’egli la visione di un altrove e di un tempo diversi, di una rivoluzione. È in questo spazio che si può leggere la candida disillusione di una generazione – quella che andava definendosi “beat” –, che si innalza su cromie scandite e calde e cerca in queste l’evasione, la salvezza.

I Giganti dell’Arte dal Teatro. Julian Beck Hermann Nitsch Shozo Shimamoto (2017), veduta d’installazione, Casa Morra. Archivio d’Arte Contemporanea, Napoli, photo Amedeo Benestante

I Giganti dell’Arte dal Teatro. Julian Beck Hermann Nitsch Shozo Shimamoto (2017), veduta d’installazione, Casa Morra. Archivio d’Arte Contemporanea, Napoli, photo Amedeo Benestante

LA MOSTRA

Le opere riunite nella prima sala dell’Archivio Casa Morra dedicata a Julian Beck, e che procedono in ordine cronologico, dal 1945 al 1950, sono caratterizzate da un libertario entusiasmo; dettate da un piacere infantile riversato nella creazione e oscurate solo dai tempi correnti; Lead and Gold: War and Peace e The city by night (1946) sono due esempi massimi della dolcezza compositiva attanagliata dal dramma che svela l’enigma umano. Una sorta di mappatura in divenire verso un territorio sconosciuto che alimenta questa necessità di evasione, il concreto bisogno di affermare un nuovo mondo, che prenderà forma, ineludibilmente, assieme a Judith Malina nel lavoro del Living Theatre.
È poi avanzando tra gli stati pittorici, e negli anni che Beck sperimenta nuovi orizzonti e nuovi slanci attraverso una pittura meno materica e più stratificata, dove le geometrie si addolciscono per creare immaginari morbidi e poetici. Nella seconda sala dedicata alla sua pittura, e che contiene il secondo decennio di ricerca che va dal 1952 al 1958, in lavori più maturi emergono tratti identitari, memorie del presente e paure visibili, palpabili. Affiancando disegni e dipinti, la retrospettiva mostra l’humus florido e ritmicamente cadenzato della progettualità di questo artista. Si alternano pitture e collage a disegni su carta e documenti che riflettono la crescita consapevole nell’uso dei media attraverso l’estrema sperimentazione; impossessandosi di tutto l’esterno a se stesso mostra una consapevolezza della coscienza infelice e uno sconfinamento necessario alla realizzazione dei suoi territori privati. Territori desiderati nei linguaggi di ogni intellettuale di quegli anni, fantasiosamente distesi nei dipinti di Beck e angosciosamente rincorsi nella narrativa di Kerouac: “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare. (Jack Kerouac, Sulla strada, 1957).

Julian Beck, Icarus (1956)

Julian Beck, Icarus (1956)

UNA PITTURA PROROMPENTE

Anticipatore dei tempi e precursore delle linee di ricerca degli Anni Cinquanta, Beck avanza in maniera prorompente con la sua pittura nel panorama internazionale, nonostante sia ai margini del sistema galleristico. Mentre Robert Rauschenberg inizia la produzione dei suoi Combines nel 1953, lavorando sulla stratificazione e il colore, Julian, diversi anni prima, definisce e arricchisce i suoi collage in maniera profondamente umana ed elegante, lavorando attraverso cromie folgoranti e vive e inserendo sulla pellicola pittorica frammenti di vita propria. Icarus, monumentale dipinto del 1956, detiene la sacralità di tutta l’opera pittorica di Beck nella sua sensualità dorata e nella sua oltremodo preziosa grammatica della visione. Come Icaro, la sua vocazione è quella di staccarsi dalla superficie terrena, estendersi verso un altrove abbagliante emergendo dal profondo. E, come per Icaro, ancora, la scelta dello splendore che converge verso un orizzonte cangiante mostra la debolezza dell’uomo che, nel consegnare alla morte l’ultima goccia di splendore decade, abbattuto da se stesso.
La produzione dell’artista, quasi del tutto appartenente alla collezione dell’Archivio Contemporaneo Casa Morra, mostra un Uomo Totale che ha fatto sintesi di arte e politica nei suoi plurali lavori. Poesia, teatro, arte, sacralità, cinema, politica rappresentano la cifra infinita che identifica il linguaggio profetico di Julian Beck.

Lucrezia Longobardi

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Lucrezia Longobardi

Lucrezia Longobardi

Lucrezia Longobardi è nata nella provincia di Napoli nel 1991. Laureata presso il corso di Grafica d’Arte all’Accademia di Belle Arti di Napoli con una tesi sul concetto di spazio esistenziale e una ricerca storico-artistica su Gregor Schneider, Renata Lucas,…

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