Lo spazio secondo Lucio Fontana

HangarBicocca di Milano riporta in vita gli Ambienti spaziali di Lucio Fontana. Opere dal carattere innovativo, trasformate nuovamente in realtà grazie al profondo lavoro di ricerca di un’efficace triade curatoriale.

Corpo, spazio e percezione. È questa la terna di concetti alla base degli Ambienti spaziali di Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Varese, 1968), installazioni dal carattere effimero che l’artista nato in Argentina era solito distruggere dopo averli esposti. Oggi nove Ambienti e due interventi ambientali rivivono fra le navate di Pirelli HangarBicocca, lasciandosi attraversare da un pubblico che, a oltre settant’anni di distanza dalla loro progettazione, può assaporarne i contorni e sperimentare sulla propria pelle le ricadute percettive di un rivoluzionario corpus di lavori, ancora poco noto rispetto ai celebri Tagli e Concetti spaziali.
Resi ancora più suggestivi dalla cornice dell’Hangar meneghino, gli Ambienti di Fontana garantiscono un’immersione temporanea in uno spazio “altro”, fatto di luminosità al neon, vernici fluorescenti, luci di Wood e materiali insolitamente cangianti ‒ dalle superfici calpestabili morbide alla tappezzeria rossa che ricopre soffitti e muri. Esperienze sensoriali a tutto tondo, varchi anomali in un sistema percettivo di cui stravolgono i confini e le dinamiche. Al centro dell’Ambiente spaziale creato nel 1966 per la prima e unica mostra personale di Fontana in un museo americano, il Walker Art Center di Minneapolis, oppure tra le bianchissime pareti del labirintico Ambiente spaziale in Documenta 4, a Kassel, le coordinate spaziali, appunto, saltano, insieme alle comuni logiche di prossimità e distanza.
Emblemi delle teorie descritte dall’artista nel suo Manifiesto Blanco, gli Ambienti contribuiscono a incrinare la rassicurante fisicità dell’opera, aggredendo lo spazio e applicando anche alla tridimensionalità le riflessioni di Fontana attorno allo statuto della tela e del supporto in genere. L’attenta indagine filologica condotta da Barbara Ferriani e Marina Pugliese, co-curatrici della rassegna al fianco di Vicente Todolí, rende ineccepibile l’allestimento delle opere, clamorosamente in linea con l’estetica contemporanea.

Lucio Fontana, Ambiente spaziale a luce nera, 1948-49-2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana. Photo Agostino Osio

Lucio Fontana, Ambiente spaziale a luce nera, 1948-49-2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana. Photo Agostino Osio

PAROLA A BARBARA FERRIANI

Insieme a Marina Pugliese, Barbara Ferriani ha progettato, per la prima volta dalla scomparsa di Lucio Fontana, la ricostruzione di alcuni tra gli Ambienti spaziali più rilevanti fra quelli ideati dall’artista.

Quale metodologia di lavoro avete utilizzato per la costruzione della mostra?
Partendo dalla letteratura relativa agli ambienti di Lucio Fontana, ci siamo interrogati sulla possibilità di ricostruire gli ambienti realizzati dall’artista con un approccio filologico in grado di restituirne il contesto originale e l’aspetto materiale. Sebbene l’opera di Fontana sia stata profondamente studiata, l’attenzione di pubblicisti e studiosi si era focalizzata principalmente sull’ideazione e la fruizione delle opere, mentre minore attenzione era stata prestata al loro aspetto materiale. L’esame puntuale delle fonti aveva evidenziato numerose lacune e le indicazioni su dimensioni, tecniche e materiali costitutivi non risultavano sempre attendibili. Si rendeva quindi necessario rileggere le fonti con un angolo visuale diverso e riesaminare i documenti conservati negli archivi storici per ritrovare indizi più specifici.

Parliamo quindi dello studio dei materiali, delle immagini, degli scritti di Fontana, che ha preceduto la preparazione della mostra.
Partendo dalla ricca corrispondenza intercorsa tra Fontana e gli organizzatori delle diverse esposizioni, sono stati vagliati i documenti contenuti negli archivi delle sedi espositive e degli architetti e/o artisti che avevano collaborato con l’artista (preventivi, bolle di consegna, fatture, lettere e appunti), le recensioni dell’epoca, l’intera documentazione fotografica e i filmati storici. Quando le planimetrie coeve erano assenti o incomplete, si è cercato di dedurle attraverso comparazioni tra le misurazioni attuali degli spazi espositivi e le restituzioni digitali tridimensionali eseguite anche con l’ausilio delle fotografie storiche. L’esame di ogni piccolo dettaglio e il confronto con tutti i dati ci hanno permesso di verificare non solo le dimensioni generali, ma anche i rapporti interni tra gli elementi e il loro posizionamento nello spazio.

Lucio Fontana, Struttura al neon per la IX Triennale di Milano, 1951-2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana. Photo Agostino Osio

Lucio Fontana, Struttura al neon per la IX Triennale di Milano, 1951-2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana. Photo Agostino Osio

Avete utilizzato e recuperato anche materiali originali?
L’individuazione dei materiali che costituivano gli Ambienti è stata fondamentale nella nostra ricerca: anche una leggera modifica può alterare notevolmente i rapporti interni e la percezione dell’insieme. Nel caso dell’Ambiente spaziale con neon, realizzato nel ‘67 allo Stedelijk Museum di Amsterdam, non eravamo certi del colore del rivestimento. Alcune fotografie storiche lo indicavano come rosso, altre come rosa. Grazie alla Fondazione Fontana è stato possibile ritrovare un frammento del tessuto originale, di colore rosa ciclamino, donato da Fontana all’artista Jef Verheyen, che lo aveva aiutato durante l’allestimento.

In che modo avete collaborato con Nanda Vigo?
La collaborazione con Nanda Vigo è stata di fondamentale importanza per poter ricostruire i due ambienti realizzati per la Triennale di Milano nel 1964. L’artista ha scelto i materiali interni dell’ambiente rosso e fornito i vetri Quadrionda, ormai irreperibili sul mercato, mentre per l’ambiente nero, di cui si hanno foto storiche che ne documentano solo una parte, si è offerta di terminare l’andamento dei fori retroilluminati dalla luce al neon verde.

Arianna Testino e Angela Madesani

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #7

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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