Come una falena alla fiamma. Due mostre in una a Torino
Due mostre complementari animano le OGR ‒ Officine Grandi Riparazioni e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Giocando su una catena di rimandi visivi e concettuali.
Come una falena alla fiamma, Like a Moth to a Flame, non è solo il titolo del generoso progetto espositivo realizzato in tandem tra OGR ‒ Officine Grandi Riparazioni e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. È, per esempio, una testimonianza della storia culturale di Torino di questi ultimi decenni, dove il suo sistema museo, nato dalle ceneri di una profonda crisi industriale e sorretto da sperimentazioni di virtuose collaborazioni pubblico/privato, continua a rendere operativi obiettivi comuni, a orientare sforzi in “share” con lo scopo di valorizzare il patrimonio cittadino.
Per sottolinearlo, tre curatori, Tom Eccles, direttore del Center for Curatorial Studies del Bard College di New York, Mark Rappolt, redattore capo di Art Review, e l’artista britannico Liam Gillick, tracciano un ritratto della città attraverso le sue raccolte (Collezione della Fondazione per l’arte Moderna e Contemporanea CRT e Collezione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo) con sapidi e intriganti raccordi formali e concettuali, tra antico e contemporaneo, attingendo dalle prestigiose istituzioni museali cittadine (Museo Egizio, Palazzo Madama, MAO, GAM e Castello di Rivoli).
DALLE OGR…
In merito alla scelta delle opere, determinante risulta il lavoro di Cerith Wyn Evans, In girum imus nocte et consumimur igni (2006), posto all’ingresso delle OGR, scritto con il neon e montato su una circonferenza in modo da sviluppare un palindromo, ossia una costante circolarità, un eterno ritorno, avrebbe detto Nietzsche, che pure da Torino era passato e qui si era definitivamente consegnato a un dionisiaco delirio mentale. Cerith Wyn Evans si rifà nel titolo all’ultimo film di Guy Debord che tradotto suona: “giriamo in tondo nella notte e siamo consumati dal fuoco”, indovinello valido per i dannati quanto per le falene, appunto.
Convitato di pietra, al pari di Nietzsche, Debord non poteva mancare quale lucido interprete del nuovo totalitarismo della merce e della democrazia spettacolarizzata. Input raccolti nella teoria di video di Artur Zmijewski, sincopate narrazioni da un presente inquieto. Su queste tracce, nelle maestose navate delle OGR, laicamente sacrali come sanno essere gli edifici industriali riconvertiti, si inanellano dialoghi folgoranti: la consonanza cromatica, sorta di sinfonia in nero, che tiene insieme le sghembe scalinate di Gianni Colombo, una ieratica divinità egizia assisa e rilancia nel buio galattico della fotografia di Thomas Ruff. Campane dismesse, da un’archeologia metatemporale, firmate Adrian Villar Rojas, introducono ad altri relitti come le monumentali architetture di Liu Wei, fatte di libri compattati per generare edifici improbabili. Derive, ma di senso questa volta, per lo stesso Gillick, che chiude il percorso con una zona conversazione perimetrata da una storiella venata di umorismo ebraico.
… ALLA FONDAZIONE SANDRETTO
Alla Fondazione Sandretto, la mostra cerca una strada più politica, confortata dalla presenza del film di Debord, in bianco e nero ma ancora attuale nella sua visionarietà anticipatrice. Si spazia dai manifesti di Barbara Kruger ai video multipli di Yang Fudong, dai collage globalizzati di Guan Xiao fino ai manichini di Thomas Hirschhorn, profanati da buchi e sfondamenti al pari degli omologhi umani cui drammaticamente s’ispirano, fino all’installazione di Hito Steyerl presentata al Padiglione tedesco della Biennale di Venezia 2015.
Si chiude così un cerchio che contempla l’inaugurazione di OGR, il 25esimo anniversario della Fondazione Sandretto e da ultimo il 60esimo della Fondazione dell’Internazionale Situazionista, nata con Debord, guarda caso, non lontano da Torino. Una congiunzione di ricorrenze in una città esoterica come questa.
‒ Marilena Di Tursi
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