Nel 2018 a Palermo un’indagine di Eva Frapiccini sulle guerre di Mafia
Il progetto che inaugura a giugno 2018 nell’ambito di Palermo Capitale Italiana della Cultura viaggerà poi verso Bruxelles e si fermerà a Senigallia. L’ obiettivo è quello di realizzare una indagine sulle vittime e i protagonisti delle guerre di Mafia
L’idea originaria da cui prende vita il lavoro Il pensiero che non diventa azione avvelena l’anima, proposto per il bando Italian Council indetto dalla Direzione Generale Arte, Architettura Contemporanee e Periferie Urbane (DG AAP) del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nasce nel 2013 nell’ambito di un progetto espositivo sul tema della legalità, presso il Tribunale di Palermo. “Su invito delle associazioni Connecting Cultures e Isole” spiega l’artista Eva Frapiccini, “ho realizzato allora una prima residenza che mi ha permesso di avviare il lavoro, incontrare le persone e raccogliere il materiale che avrebbe costituito l’opera finale. Nonostante la mostra non sia poi stata realizzata per mancanza di fondi, quell’occasione mi ha permesso di occuparmi di un tema a cui mi ero già interessata e su cui avevo iniziato a documentarmi: la storia della Mafia a Palermo. In particolare, ho scelto di occuparmi dell’ascesa dei ‘corleonesi’ che, per chi come me conosceva i fatti degli Anni Settanta, ha vissuto da bambina gli anni ’80 e ricorda bene le stragi degli anni ’90, voleva dire occuparsi di cose sentite, ma non capite fino in fondo”.
IL TOUR DA PALERMO
Ideato nel 2013, il lavoro di Eva è frutto di due residenze nel capoluogo siciliano con l’obiettivo di realizzare una indagine sulle vittime e i protagonisti delle guerre di Mafia, portando allo “scoperto”, in quasi 4 anni di ricerca, le motivazioni, le strategie, le piste e le azioni che hanno condotto la criminalità organizzata a fare rumore. Il progetto ha spinto l’artista a lavorare a strettissimo contatto e in collaborazione con associazioni, enti pubblici, scuole, imprese artigiane di Palermo. “Alla fine di questo lungo processo di ricerca che prosegue anche lontano da Palermo, sto riscontrando diverse adesioni e supporto da parte di soggetti e realtà locali. Mi ha stupito vedere come la mia generazione e la più giovane stiano rispondendo attivamente a questo progetto, attraverso il tessuto di aziende e scuole che vivono il territorio tutti i giorni e vogliono conoscerlo anche attraverso la mia ricerca personale”. La ricerca è stata inoltre condotta attraverso immagini fotografiche, appunti, agende, documenti e giornali provenienti per la maggior parte da archivi privati, e verrà presentata in una grande installazione a giugno 2018, presso l’Archivio Storico Comunale di Palermo, nell’ambito di Palermo Capitale Italiana della Cultura. Dopodiché partirà per un importante tour: la mostra si sposterà a Bruxelles, dove l’opera verrà esposta all’Istituto Italiano di Cultura. L’intero percorso si conclude con l’acquisizione dell’opera da parte del Museo comunale d’arte moderna, dell’informazione e della fotografia di Senigallia (AN). Abbiamo parlato con Eva Frapiccini che ci ha spiegato il progetto.
Qual è l’idea di partenza?
L’idea da cui parto è che dietro molte morti di vittime della Mafia ci fossero spesso inchieste scomode, che mettono in risalto una guerra sotterranea, dove chi viene dopo raccoglie il testimone e continua la lotta, l’inchiesta, l’azione di resistenza, verso uno scopo comune. Queste persone hanno dimostrato caparbietà nel proprio impegno civile, e motivazione nel proprio lavoro tanto da mettere in difficoltà la Cupola, la cosiddetta “commissione delle famiglie” prima e il nuovo ordine dei corleonesi dopo. La mia ricerca si muove verso questa brillantezza di pensiero tra le scelte investigative dei commissari, le piste giornalistiche, negli slogan scelti per svegliare il coraggio dei siciliani, le dichiarazioni degli imprenditori contro il pizzo, i disegni di legge dei politici “puliti”.
Quali sono stati gli effetti?
Queste azioni hanno portato a incrinare la compattezza della cupola. Localmente, nella capitale, e all’estero. Ci focalizziamo su come sono morti e dimentichiamo che “quiddu era bravo”, come ha esclamato un magistrato del pool antimafia di Falcone, mostrandomi un suo registro di fatti e nomi di interrogatori, quelli erano davvero bravi. Pensiamo sia storia locale, ma da Palermo partiva l’ultimo volo di Enrico Mattei, si trovava nella tasca del boss ucciso un assegno di Sindona, faccendiere del Banco Ambrosiano che ha coinvolto Ambrosoli a Nord e fatto trovare impiccato Calvi sotto un ponte sul Tamigi a Londra. Insomma, Palermo e la Sicilia sono stati crocevia di interessi economici internazionali, da dove partiva la droga per essere venduta in tutto il mondo, e tornava il denaro negli aeroporti costruiti e voluti dalla Mafia a profitto della Mafia.
Cosa secondo te ha rotto gli schemi?
A rompere lo schema molte donne e uomini che sono caduti, ma si sono passati il testimone per continuare un processo di bonifica delle istituzioni e del territorio. Questo è un progetto sul loro lavoro, ma è anche una riflessione sulla dedizione nel ruolo che si copre, in generale. Il progetto mette in luce gli strumenti e il pensiero dietro alle azioni: appunti, discorsi, registri e note, raccolti e custoditi nei molti archivi privati, per creare una installazione e archivio fotografico “in fieri” accessibile a molti, consultabile e fisicamente coinvolgente.
In che modo questo tuo progetto si collega alla tua ricerca, più in generale?
L’idea che sottende molti dei miei progetti in generale è la possibilità di colmare dei vuoti cognitivi, di alcuni elementi storici che compongono il mio percorso personale fino ad oggi. Sento la necessità di individuare le cause e i fattori che hanno inconsapevolmente condizionato la mia formazione come individuo e mi proiettano verso un futuro più chiaro. Molto spesso queste ricerche si formalizzano o si presentano in forma di archivi, o serie fotografiche, reperti visivi di luoghi o documenti, e coinvolgono fisicamente lo spettatore in un dialogo tra fiction e realtà, come individuazione personale in un contesto collettivo.
– Santa Nastro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati