Osservatorio curatori. Mattia Giussani
La ricerca sulle nuove leve della curatela italiana prosegue con Mattia Giussani (Desio, 1986). Formatosi inizialmente come artista, prosegue i suoi studi approdando alla ricerca curatoriale stimolato dai numerosi spazi non profit della capitale britannica. Il suo approccio è fortemente legato alla cultura digitale, alla connettività, alla possibilità di ricostruire le criticità del nostro tempo attraverso le opere di artisti giovani che indagano questi stessi temi.
Trasferitomi a Londra nell’estate del 2012, mi sono formato come artista al Camberwell College of Arts, laureandomi nel 2015. Durante il mio primo anno a Londra mi sono avvicinato all’idea di curatela, trovando una scena con un livello artistico più alto di quello a cui ero abituato e molti spazi non profit che mi hanno ispirato a provare a pensare in maniera diversa la mia pratica artistica, cercando un modo di farla co-esistere con la mia passione crescente per l’organizzazione di mostre. Negli anni a Camberwell, e iniziando a sviluppare i miei primi progetti curatoriali a Londra, mi sono chiesto come poter usare l’approccio teorico che sta alla base della mia pratica artistica nell’ambito della curatela, specialmente pensando a come esporre lavori di artisti emergenti che rispetto molto, dandogli una visibilità che in un mercato saturo come quello di Londra è sempre molto difficile da ottenere.
Una delle esperienze più significative che ho avuto è lo stage di sei mesi che ho fatto da Cell Project Space, East London, uno degli spazi non profit più interessanti della scena inglese. Quel periodo, durante il quale aiutavo nell’organizzazione delle mostre, mi ha spinto a fare domanda per l’MFA in Curating della Goldsmiths University a Londra.
FORMAZIONE E MOSTRE
Goldsmiths è sempre stata un grande obiettivo per me, un luogo che accoglie persone con interessi e studi diversi nello stesso campus (fra Visual Cultures, Cultural Studies e Architecture), ed è stato un gran traguardo essere accettato in quel corso di curatela, considerato uno dei migliori al mondo.
In questi due anni di studio, ormai finiti lo scorso agosto, la mia pratica si è evoluta, andando dalla curatela di esposizioni a un approccio para-curatoriale, con l’organizzazione di eventi, performance, talk e progetti editoriali. Ho avuto la fortuna di curare e partecipare a progetti in grandi istituzioni a Londra come la Zabludowicz Collection, ICA, Arts Catalyst, Camberwell College of Arts, e aver partecipato lo scorso anno alla Masterclass Posthuman Glossary, tenuta da Rosi Braidotti a Utrecht.
Progetti recenti includono una mostra collettiva da t-Space a Milano chiamata Non Standard, con Lea Collet & Marios Stamatis, Anne De Boer, Joey Holder, Anna Mikkola. Lo show ha presentato performance, installazioni sonore e video che analizzano le relazioni fra esseri umani, natura e tecnologia nel networked capitalism del XXI secolo. Fra la scrittura della mia tesi e la vita frenetica di Londra, ho curato una mostra ad Assembly Point chiamata Future Fictions con Pakui Hardware, Joey Holder, Core.Pan e Viktor Timofeev. Lo show esplorava gli effetti dell’automazione e degli algoritmi tra la vita reale e l’esistenza digitale.
Cosa mi aspetto dal futuro? Una nuova avventura in un’istituzione? Continuare a fare il curator indipendente? Iniziare un dottorato? Chissà. Qualsiasi cosa mi riserverà il futuro, la accoglierò a braccia aperte.
‒ Dario Moalli
http://facebook.com/abstractmode
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #39
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati