Architetture anatomiche alternative. Intervista a Stelarc
Al Palazzo delle Esposizioni di Roma Stelarc ha presentato gli sviluppi delle sue ricerche insieme al professor Bergamasco, ideatore dell’appuntamento con la presidente di Romaeuropa, Monique Veaute.
Un solo giorno per incontrare Stelarc (Limassol, 1946) al Palazzo delle Esposizioni, Romaeuropa dedica a uno dei più importanti esponenti della Body Art, attivo sin dagli Anni Settanta, la giornata conclusiva del Romaeuropa Festival nell’ambito del Digitalife 2017. La tematica della conferenza chiarisce la posizione dell’artista in merito all’interrogativo posto dal titolo dell’esposizione: Where are we now? Riferimenti contemporanei per l’esplorazione del futuro. Con le sue pratiche Stelarc sperimenta e verifica da sempre i propri limiti fisiologici e psichici, indagando strumenti di potenziamento per mezzo di eventi di sospensione e innesti tecnologici. Il suo progetto per il futuro è la ridefinizione del corpo umano, ormai diventato obsoleto. Per la sua sopravvivenza, infatti, bisognerebbe riprogettarlo con l’aggiunta di protesi e innesti tecnologici estremamente avanzati. In questa intervista esclusiva l’artista ha accettato di parlare dei suoi progetti passati, attuali, futuri e anche di quelli che vanno oltre la fisicità del suo corpo.
L’INTERVISTA
Nelle sue sperimentazioni la tecnologia invade il corpo diventando un suo elemento intrinseco. Con Ear on arm, ad esempio, si è fatto impiantare un orecchio sul braccio nell’intento di creare un dispositivo di ascolto a distanza. Avrebbe potuto realizzare il suo progetto anche senza ricalcare le forme di un orecchio vero sul suo braccio? È funzionale alla buona riuscita dell’esperimento o è solo una trovata estetica?
Tutta l’arte è estetica. Il mio interesse è creare un’architettura anatomica alternativa, per esempio un terzo orecchio, sei gambe, un terzo braccio e riflettere su come fare a operare nel mondo utilizzando queste interfacce aggiuntive. Questa è l’intenzione prevalente. Detto ciò, resta da dire che questo progetto per me non ha alcun significato fino a quando non riusciremo a collegarlo a internet, finché non diventi uno strumento di ascolto remoto. Io ho due orecchie funzionanti, questo orecchio è per le persone che si trovano altrove poiché potranno sentire attraverso di esso. Per due settimane dopo l’ultimo intervento chirurgico ha contenuto un microfono proprio per testare se la registrazione del suono sarebbe stata possibile, come anche la trasmissione wireless.
Ha rischiato di farsi amputare un braccio a causa del suo impianto. Da quello che lei dice sembra che non abbia il timore di riprovarci…
Sì, in effetti è stata un’infezione molto grave, risultato dell’inserimento del microfono. Lo abbiamo fatto subito dopo la seconda operazione, questa non è stata una cosa molto saggia. Tutti quando fanno un’operazione hanno il 10% di possibilità di prendersi un’infezione indipendentemente dal tipo di operazione, in questo caso siamo andati un po’ oltre i limiti consentiti. Si cerca di pianificare nel miglior modo possibile, si cerca di anticipare le problematiche possibili, però c’è un punto in cui si smette di parlare e si comincia a fare. A quel punto, come artista performativo, dico che bisogna sopportare le conseguenze fisiche delle proprie idee. È facile avere l’idea di sospendere il proprio corpo, ma poi naturalmente bisogna mettere dei ganci nel proprio corpo, è facile avere l’idea di una scultura all’interno del proprio corpo, ma poi a quel punto bisogna inserirla e sopportare tutte le difficoltà e tutte le risposte del corpo. Quindi è facile pensare a un orecchio extra, ma poi bisogna costruirlo dal punto di vista chirurgico e affrontare anche le possibilità di una grave infezione. Per cui sì, ho quasi perso un braccio a causa di un orecchio ma credo che ci si debba assumere molti rischi, non in maniera stupida. Ci saranno sempre dei problemi con tutto quello che si fa se è una cosa sfidante, se invece è una cosa semplice allora non ci saranno problemi, non ci saranno rischi.
Perché non ha progettato un terzo orecchio che potesse ascoltare piuttosto che far ascoltare? Avrebbe potuto connettersi con altri luoghi e potenziare le sue capacità…
Il problema è l’interfaccia, naturalmente avremmo bisogno di una sorta di microfono dall’altra parte. E poi una trasmissione wireless…
Un altro orecchio…
Però la sua idea è in ultima analisi interessante perché questi progetti e queste performance esplorano l’idea del corpo che non è un corpo biologico singolo in un unico spazio, ma un corpo che può essere distribuito e collegato a persone in altri luoghi. Ciò significa che questa potrebbe essere una possibilità per tutti. Quindi se tutti avessimo un orecchio sul braccio tutti potremmo ascoltare tutti. Quindi lei potrebbe essere la seconda [ride, N. d. R.].
Il deterioramento e la morte non sarebbero più necessari, a suo dire, dal momento che diventa sempre più facile sostituire e impiantare nuove parti del corpo funzionanti. Ma lei ha paura di morire?
In genere non si pensa alla morte, da un punto di vista filosofico e anche fisiologicamente noi sappiamo che una persona invecchia e il suo corpo si deteriora, smette di funzionare bene. Magari ha una malattia mortale, un incidente. La morte al momento è inevitabile, quindi come gestirla? Si fa il più possibile per il poco tempo che ci è concesso [ride, N. d. R.].
Come lei stesso ha dichiarato durante la conferenza, oggi siamo in grado di mantenere un cadavere a tempo indeterminato con la plastinazione. Lei ha mai pensato all’eventualità di farsi plastinare?
Già mi sta chiedendo cosa farò alla fine di tutto il mio lavoro, dopo che sarò morto [ride, N. d. R.]. Ci sono tante possibilità interessanti, naturalmente ho pensato a queste cose, all’idea di plastinare il corpo e renderlo una sorta di scultura per un museo, non so, beh, è possibile. Oppure creare un avatar che assume lo stesso aspetto dell’artista con il quale interagire online. Quindi dopo la morte del corpo fisico ci si potrebbe collegare e avere una conversazione con me. Per uno dei miei vecchi progetti, che si chiama The Prosthetic Head, ho creato un avatar con un sistema di conversazione che ha un database. Una testa alla quale si possono fare delle domande poiché è in grado di rispondere con le conoscenze possedute dall’artista. Ho pensato a questo perché mi arrivavano talmente tante domande dagli studenti di dottorato che un giorno mi sono detto: “Forse potrei creare un avatar che in qualche modo può rispondere a tutti i dottorandi e quindi non mi farebbe perdere molto tempo”. A oggi questa testa ha fatto anche una serie di presentazioni. Quando non ho tempo di fare una conferenza, infatti, ci mando il mio avatar. In qualche modo mi somiglia e si muove compiendo delle espressioni facciali. Il fatto che le labbra si muovano in modo sincronizzato aggiunge l’impressione che si tratti di qualcosa di “vivo”. In più possiede le idee e la filosofia dell’artista.
A proposito di eternità, la città di Roma come potrebbe ispirarla in una delle sue opere?
Io vengo dall’Australia, che ha 200 anni. Osservando a Roma tutti questi monumenti incredibili, le sculture e tutta l’arte che racchiude tanta storia si percepisce lo spessore del tempo. E anche se il corpo è collocato in questo spazio architettonico tradizionale ‒ per esempio immaginiamo un corpo con un braccio esteso o con un orecchio sull’altro braccio che fa una performance in uno spazio rinascimentale ‒, questa unione tra modernità e storia assume una posizione interessante. Mi sono recato a Venezia in occasione dell’International Performance Art Week, non abbiamo potuto fare una performance anche in quella occasione, ma c’erano diverse location site specific anche lì che avrebbero potuto rendere possibile questo tipo di performance.
– Donatella Giordano
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati