Silenzio e rumore. Luisa Rabbia ed Emma Hart a Reggio Emilia

Collezione Maramotti, Reggio Emilia ‒ fino al 18 febbraio 2018. Le opere di due artiste quasi coetanee vanno in mostra negli spazi della Collezione Maramotti. Innescando una riflessione sulle potenzialità del gesto creativo.

Love di Luisa Rabbia è un insieme di immagini introspettive, che attraverso lo sguardo parlano all’anima. Sono opere su carta e tela che mirano ad attirare l’attenzione dello spettatore, un’opera site specific e un libro d’artista. La Collezione Maramotti presenta un’antologica di dieci anni di ricerca dell’artista nata a Pinerolo nel 1970. L’evoluzione è tangibile. Nel 2009 From the Whithin ritrae migranti dormienti in un’opera figurativa che descrive il sonno come momento di evasione e non di sogno. Dal 2011 sono i tratti sottili e vivi, simili a vasi sanguigni dai colori blu e rosso, a definire lo spazio nelle tele. I want to be there, too riporta invece la mente ai colori dell’Urlo di Munch; una folla di impronte digitali, ritratti di individui anonimi che da un lato all’altro del pianeta si confondono con il paesaggio, si muovono e scambiano energia attraverso un moto infinito. È pura dimensione interiore che emerge come pace e come tormento, in altre parole vita. L’artista è intimamente proiettata a individuare una consequenzialità tra il viaggio interiore e quello che spinge l’uomo ad attraversare terre e confini. Love, parte della trilogia Love-Birth-Death, copula-nascita-morte, è il ritratto di due corpi saldamente coinvolti in un amplesso. Corpi attraversati da un’unica spina di arterie e vene, comparata da Mario Diacono nel catalogo alla mostra a un albero sefirotico che si espande nel vuoto circostante. L’immagine è potenza pura, è elettricità, porta nella stanza il respiro dei corpi, fluttuanti nel silenzio cosmico.
Sono opere timide e forti quelle di Luisa Rabbia, non aggrediscono, entrano dentro alla mente dello spettatore come terminazioni nervose, sottili e profonde come i tratti sulle tele dell’artista. 

Luisa Rabbia, I Want To Be There, Too, 2015 (particolare). Courtesy and © Luisa Rabbia. Photo Dario Lasagni

Luisa Rabbia, I Want To Be There, Too, 2015 (particolare). Courtesy and © Luisa Rabbia. Photo Dario Lasagni

LA POETICA VISIVA DI EMMA HART

Emma Hart (Londra, 1974) è vincitrice della sesta edizione del Max Mara Art Prize for Women. La sua opera Mamma Mia!, già esposta alla Whitechapel Gallery di Londra, è ora adattata a una sala della Collezione Maramotti. Il progetto è il risultato di una permanenza di sei mesi in Italia tra Milano, Todi, Roma e Faenza. Un contributo importante alla sua idea è riconducibile alle lezioni sull’Approccio Sistemico di Milano (un metodo costruttivista di terapia familiare), la lettura e l’assimilazione dei romanzi di Elena Ferrante e la scoperta della maiolica (tecnica scelta per la realizzazione dell’opera). Manufatti in ceramica a forma di testa sembrano dialogare tra loro e, nella dinamica creata, lo spettatore ha la possibilità di osservarne il contenuto. La superficie interna è quindi decorata dall’artista con motivi vivaci che recuperano in chiave contemporanea la tradizione decorativa della maiolica. Le opere di Emma Hart indagano la frustrazione, la confusione di cui è vittima la società contemporanea. Il coinvolgimento è al contempo fisico e mentale e suscita nell’osservatore interrogativi e angosce. Mamma Mia! è rievocazione delle dinamiche del quotidiano e degli alti e bassi che innestano un processo di psicoterapia.
Mentre le opere di Luisa Rabbia sono fatte di silenzio, battiti e sospiri, quelle di Emma Hart sono rumore, tensione nevrotica e insoddisfazione. 

Anna Vittoria Zuliani

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati