Le pietre del cielo. Luigi Ghirri e Paolo Icaro a Venezia
Fondazione Querini Stampalia, Venezia ‒ fino al 28 gennaio 2018. La mostra allestita negli spazi disegnati da Carlo Scarpa accosta le opere di Luigi Ghirri e Paolo Icaro. Fra rimandi e inversioni.
Le pietre del cielo sono corpi reali, che hanno una forma e un peso specifico, una grana e una temperatura, ma che sono in grado di commuovere. Suscitare un’emozione, comunicare con materiali muti è ciò che fanno i protagonisti di questa mostra: Paolo Icaro (Torino, 1936), Luigi Ghirri (Fellegara, 1943 – Roncocesi, 1992) e Carlo Scarpa. Già altri prima di loro avevano incontrato questi oggetti misteriosi: Magritte ne cattura l’ossimoro di freddezza e meraviglia in La Flèche de Zenon, Neruda intitola Le pietre del cielo una sua raccolta del 1970, Mendes Da Rocha usa l’espressione per descrivere il suo progetto del MUBE di San Paolo del Brasile. Una suggestione che attraversa i confini delle discipline: nella mostra veneziana ambiti artistici diversi trovano un momento di equilibrio.
UNO SCULTORE, UN FOTOGRAFO, UN ARCHITETTO
Colpisce il contrasto tra l’austerità delle sculture di Icaro, la laconicità dei paesaggi di Ghirri da una parte e la ricchezza di disegno e materiali degli ambienti scarpiani dall’altra. L’architetto veneziano qui lavora gli spazi con un bisturi progettuale, attento alla definizione degli elementi più minuti di una luce o di un serramento, creando uno spazio espositivo profondo, che attira l’attenzione in primo luogo su sé stesso. Il fotografo emiliano, invece, coglie l’architettura e il paesaggio nella loro mutezza e ritrae dettagli o paesaggi plasmati dall’uomo ma deserti, che trasmettono la freddezza dell’anelito a essere abitati, a diventare luogo. Le sue fotografie trasfigurano in mitologia l’esperienza e la memoria quotidiane. Icaro, in modo simile, materializza dei desideri di esplorazione spaziale. Per questa mostra lo scultore ha selezionato una serie di opere nella sua produzione dagli Anni ’60 a oggi e le ha installate nello spazio espositivo facendole entrare in dialogo con le fotografie e gli ambienti che le ospitano.
AMBIENTI, CONTRASTI
La prima opera che si incontra è una installazione site specific: Spazi di spazio, una struttura di fili d’acciaio ossidato dall’andamento irregolare che definiscono il volume di un incerto parallelepipedo. Si trova nella prima sala del percorso, La Sala Colonne, la più austera tra quelle progettate da Scarpa, e il colore scuro della struttura metallica si staglia sulle pareti ruvide e chiare lasciandosi attraversare completamente, ma al tempo stesso definendo un ordine reso subito conflittuale dall’opera che lo affianca: Groviglio, sinapsi del 1972, letteralmente un groviglio di filo metallico le cui due estremità si assottigliano in un non-contatto. Attraversando la sala principale, la Sala Luzzatto, si passa dalla luce opaca riflessa dalle grandi finestre sul canale a quella diretta del giardino interno del palazzo. Le pareti di marmo inglobano l’illuminazione e riprendono la scansione tripartita del colonnato sul verde. Le fotografie di Ghirri sono silenziose davanti alla ricchezza dei materiali e del disegno dell’ambiente. Icaro lavora su questo contrasto installando opere in marmo che hanno texture e geometrie in dialogo con i materiali usati da Scarpa, ma che utilizzano un linguaggio caustico simile a quello del grande fotografo.
RAPPORTI INVERTITI
Si inverte il rapporto convenzionale che vede l’attenzione sull’oggetto e l’ambiente come sfondo: qui è l’architettura degli interni scarpiani a guadagnare la scena. Questa inversione è proprio il tema di cui si occupano sia Ghirri che Icaro. Il primo cattura universi periferici o angoli secondari del paesaggio visivo e li reinterpreta e monumentalizza come fulcro della memoria. Il secondo crea un’arte di collegamento, inscindibile dal proprio ambiente e che, per essere notata, richiede al visitatore uno sforzo di attenzione e immaginazione. In questo inusuale equilibrio gli intenti dei tre artisti coincidono perfettamente, e il risultato è una mostra nella quale ogni elemento trova il suo spazio e il suo peso.
‒ Federico Godino
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