L’irriducibile distanza della Cina. Pablo Bronstein a Torino
Nel palazzo settecentesco che a piazza Carignano fronteggia l’architettura di Guarini, nell’appartamento che da giugno 2016 funge da seconda sede per la galleria Franco Noero, c’è una stanza decorata, secondo il gusto dell’epoca, con scene cinesi. Qui la Cina appare come un luogo immaginario in cui personaggi e architetture presentano ancora tratti fortemente occidentali. Piace […]
Nel palazzo settecentesco che a piazza Carignano fronteggia l’architettura di Guarini, nell’appartamento che da giugno 2016 funge da seconda sede per la galleria Franco Noero, c’è una stanza decorata, secondo il gusto dell’epoca, con scene cinesi. Qui la Cina appare come un luogo immaginario in cui personaggi e architetture presentano ancora tratti fortemente occidentali. Piace pensare che da quella camera Pablo Bronstein abbia preso spunto nel concepire la mostra, costituita da opere su carta (a inchiostro, gouache e acquerello), carte da parati che ricoprono alcune pareti o intere stanze della galleria e tre video. In realtà da tempo l’artista, nato a Buenos Aires nel 1977 ma emigrato a Londra da bambino, coltiva una passione quasi ossessiva, oltre che per l’architettura settecentesca, per oggetti d’antiquariato risalenti al XVIII e al XIX secolo: possiede infatti una collezione in cui figurano porcellane e cineserie inglesi d’epoca.
ORIENTE CHIAMA OCCIDENTE
In La vastità della Cina vista da una grande distanza, Bronstein pare quindi adottare un triplice punto di vista: quello del cultore di una privata ossessione, quello del narratore che reinterpreta un’ossessione diffusa nell’Europa del tempo e quello di un io che si confronta con l’altro, misterioso, incomprensibile e pericoloso. Racconta l’artista che nel suo lavoro è solito indagare i modi in cui l’architettura riflette l’ideologia di una società, quale impatto abbia avuto su di lui l’esperienza di abbandonare l’eleganza e il fascino degli edifici argentini per ritrovarsi nella Londra postmoderna. Similmente, in Scenografia, Occidente e Oriente si guardano da sponde opposte di un oceano: la distanza che li separa sembra alludere a una dualità irriducibile ma anche a mai sopite ambizioni colonialiste di assorbire e soggiogare l’altro. La tensione di questo confronto si coglie bene nei video, dove la danza è un mettersi in posa che fa eco alle forme decorative e alle direttrici dello spazio architettonico. Si coglie infine, su scala gigante, una volta usciti dalla galleria. Da una finestra illuminata, un’enorme casa cinese si affaccia e sfida l’elegante piazza torinese.
‒ Emanuela Termine
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