Il diario di Mariagrazia Pontorno in viaggio su una nave cargo per il progetto Everything I Know
La seconda tappa, in esclusiva su Artribune, del viaggio che Mariagrazia Pontorno sta compiendo su una nave cargo verso il Brasile. Il progetto si chiama Everything I know ed è a cura di Elena Giulia Abbiatici e Silviana Vassallo con il sostegno di Ines Musumeci Greco.
Si chiama Everything I know e omaggia il viaggio di Leopoldina d’Austria, amante delle scienze, verso il Brasile, il progetto di Mariagrazia Pontorno, già raccontato da Artribune, a cura di Elena Giulia Abbiatici e Silviana Vassallo con il sostegno di Ines Musumeci Greco. L’artista sta viaggiando, idealmente, in compagnia di artisti ed intellettuali su una nave cargo che la porterà in Sud America. C’è inoltre un sito web che racconta il percorso ed anche un diario di bordo per documentare l’impresa, che culminerà in mostre, talk, dibattiti a Rio de Janeiro. Artribune pubblica in esclusiva il diario di questo viaggio. Ecco la seconda tappa, per la prima cliccate qui.
–Mariagrazia Pontorno
4 GENNAIO 2018. DIREZIONE DAKAR
La nave è ripartita alle 5.30 del mattino, direzione Dakar, senza tappe intermedie. Passeremo la Manica, poi costeggeremo il Portogallo e infine procederemo verso il Senegal.
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Oggi con Silvana abbiamo finalmente disfatto le valigie, dividendo cassetti e armadio. Prima di riporre gli oggetti abbiamo passato un detergente, come sempre si fa quando ci si appropria di uno spazio nuovo per tanto tempo.
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A pranzo hanno servito pollo con patate, e Philippe pur apprezzandole ha precisato che Christine le prepara con il rosmarino: nel periodo vissuto in Sardegna lo raccoglievano direttamente dalla pianta, lo dice con un certo stupore. E così, quando nel 1990 si sono trasferiti in Belgio lui ha costruito una serra dove la moglie fa crescere ortaggi ed erbe aromatiche, per poi trapiantarle con l’arrivo della primavera. Un anno però un pavone fuggito non si sa da dove, ha mangiato tutte le lattughe e poi è scomparso. Dopo la frutta ho fatto una passeggiata sul ponte, tirava un vento freddissimo ma ho voluto comunque fare un giro per salutare anche per oggi il mare attraverso Atlante di Davide Dormino. Christine sta leggendo con grande interesse il libro su Leopoldina, conta di finirlo in un paio di giorni. Nella sala comune ci sono anche Gaby e Frank, la coppia imbarcata ad Amburgo. Loro sono svizzeri, a questo punto la situazione linguistica si complica: italiano, fiammingo, francese, tedesco, adottiamo così l’inglese. Per giocare a Rammy però non è necessario parlare, le tessere coi numeri sono il nostro esperanto. Durante il gioco il movimento della nave comincia a farsi notare, e puntuale arriva il sibilo del vento, come se un rumorista di cinema dovesse rendere verosimile la scena della tempesta. Tra una mano e l’altra mi assento giusto un minuto per affacciarmi sul ponte, apro appena la porta e mi basta per percepire il buio, il freddo, gli schizzi delle onde, la potenza del mare e del cielo, l’abisso. Ritorno al tavolo e dissimulo il turbamento. La nave sta attraversando una zona flagellata dal maltempo, di cui leggevo proprio oggi su Repubblica on line quando per un attimo è arrivata la linea. Qui ci si sente così lontano da tutto e da tutti che si perde ogni curiosità per ciò che accade sulla terraferma. È uno stato di sospensione, in cui cambia la percezione di spazio e tempo. Per entrambe le categorie prevale la dimensione soggettiva e interiore, che il mare amplifica mentre la nave fa da cassa di risonanza. La notte la passo quasi insonne, i movimenti bruschi e i rumori sordi di sportelli e oggetti che sbattono o cadono alimentano una strana inquietudine. Ho un po’ di vertigini, pazienza.
Prendo sonno quando il sole è già spuntato.
5 GENNAIO 2018: IL TUNNEL DELLA MANICA
Mi alzo tardi, quasi le dieci, pur avendo dormito pochissimo. Alfredo non è riuscito a fare le pulizie visto che non ho liberato la cabina. Mi rilasso prendendo esempio da Sasà di Paolo Cardoni. Passo in plancia di comando per capire dove siamo e soprattutto, se ci aspettano altri momenti critici. Il terzo ufficiale mi mostra sul sistema la posizione della nave, l’ingresso del Tunnel della Manica, semplicemente la zona marittima più trafficata al mondo. Sul monitor si muovono tanti puntini, ognuno è una gigantesca nave mercantile, ci sono corsie navali, autostrade del mare da rispettare e mille accorgimenti per manovrare il cargo in sicurezza. Mi mostra anche le carte nautiche, obbligatorie a bordo sino all’anno scorso. Sono di Mercatore, dal nome del suo ideatore. Su di esse i naviganti possono leggere posizioni e venti, e regolarsi in base ai mesi dell’anno sul percorso da fare. Per esempio la probabile presenza di iceberg può rendere necessaria un’altra rotta, anche perché i radar riescono a localizzare soltanto corpi ferrosi, e di forma più o meno regolare: è il motivo per cui le navi militari sembrano progettate da Zaha Hadid, per sfuggire ai radar che “ci vedono poco e male”.
L’arrivo a Biscay Bay è previsto per l’indomani alle 9 ma, per prudenza, già da adesso bevo di meno ed evito cibi difficili da digerire.
6 GENNAIO 2018: EPIFANIA SULLA NAVE
Il pomeriggio è previsto un meeting sulla sicurezza dei passeggeri in presenza del primo ufficiale. Siamo tutti riuniti intorno a un tavolo ad ascoltare come si indossa una mascherina in caso d’incendio, dove sono localizzate le uscite di sicurezza, come si legge la segnaletica che decora ogni parete della nave, come si indossa il giubbotto di salvataggio e come si usano le diverse tipologie di estintore. In caso di emergenza generale, cioè sette fischi brevi e uno lungo, dobbiamo raggiungere la Muster Station. Inizia la traversata della famigerata Biscay Bay, è meglio del previsto, la nave ondeggia ma siamo stati fortunati e le condizioni del tempo sono eccellenti considerando la zona. Apprendo che in questi frangenti non bisogna fischiare, perché si potrebbe alzare il vento, equivale ad indossare il viola a una prima teatrale. Sul ponte di comando il terzo ufficiale mi dice che nel 1981 una nave italiana, La Marina d’Aequa, è affondata proprio qui, l’equipaggio era tutto della zona di Napoli. Con Silvana iniziamo a programmare l’attività di laboratorio da svolgere a bordo, il comandante e gli ufficiali hanno dato piena disponibilità a coinvolgere l’equipaggio. Faremo una rassegna intitolata Cinema Pirata in Acque Internazionali, poi la performance di pensiero non funzionale di Cesare Pietroiusti, una conversazione con i passeggeri che hanno letto il libro di Gloria Kaiser su Leopoldina, e uno scambio di informazioni con gli ufficiali sugli aspetti tecnici di Nuvole di Gilles Clément.
7 GENNAIO 2018: ESERCITAZIONI DI SICUREZZA
Siamo ancora nella Biscay Bay, la nave sta ancora rollando (è il movimento che fa a destra e sinistra) mentre il giorno prima beccheggiava (a prua e poppa). Il pomeriggio si svolgono due esercitazioni/simulazioni: una per l’equipaggio e una per i passeggeri. L’equipaggio è impegnato a trovare e disinnescare una bomba, che alla fine si scopre essere nella lavanderia. I passeggeri devono invece fuggire da un incendio e salire sulla scialuppa di salvataggio, che è sospesa sull’oceano. La scialuppa è una specie di navicella spaziale, dentro ospita fino a 40 persone, ed è dotata di provviste, acqua, e candelotti luminosi per lanciare S.O.S. Mi rendo conto che tutte le volte che vengono spiegate operazioni di emergenza, come sull’aereo, non riesco a concentrarmi, ascolto senza capire, è come se il mio cervello rifiutasse tale eventualità. Subito dopo ci riuniamo tutti in sala comune e introduco il progetto, usando delle immagini e dei piccoli video, per raccontare in breve Everything I Know, il viaggio di Leopoldina con il suo seguito di scienziati e artisti, e l’idea di riproporlo sulla nave cargo. Al collo indosso l’opera di Sara Enrico, una stampa su seta prodotta in occasione di BLADE BANNER for SPRINT, che lei mi dice di considerare come un attivatore di discussione, per questo ho deciso di usarlo come foulard tutte le volte che si svolgono dei laboratori. Più tardi un membro dell’equipaggio mi chiede informazioni su un’immagine con una mappa e delle mani che ha visto poco prima, si riferisce a Linea di costa, il lavoro di Bianco-Valente: non so come abbia fatto a notarlo, perché è apparso in video per pochi secondi, ma ne sono felice. A Cena Christine racconta di un Natale che raggiunse Philippe in Australia per fare un giro di tre settimane. Prima di partire aveva lasciato i suoi bimbi ai nonni paterni, avendo cura di fare l’albero e dare alla casa un’atmosfera festiva. In quegli anni il marito lavorava in Papua Nuova Guinea per dragare un fiume che era straripato per via dei detriti scaricati da una montagna in cui si estraeva l’oro. La presenza della miniera aveva creato un vero e proprio dissesto idro-geologico, perché il fiume aveva allagato la valle, gli alberi erano marciti, gli animali fuggiti, gli indigeni avevano fatto causa alla miniera e il governo aveva incaricato la compagnia di Philippe di riportare la situazione alla normalità. Lui è rimasto sul posto diciotto mesi ma distanza di vent’anni i lavori continuano.
8 GENNAIO 2018: LA STORIA DI GOREE
Finalmente siamo usciti dalla Biscay Bay, l’oscillare continuo di 24 ore ha stordito e scombussolato un po’ tutti, un allievo al suo primo imbarco ha scoperto di soffrire il mal di mare, e il terzo ufficiale gli ha suggerito di non prendere nulla in modo da abituare il corpo, pare abbia funzionato. Sul ponte il terzo ufficiale sta tracciando su una mappa cartacea l’arrivo a Dakar, con matita e una speciale squadretta. Mi indica Goree, un isolotto accanto Dakar, un tempo porto usato dai coloni come partenza per la tratta degli schiavi in America. La leggenda vuole che nessun uomo bianco possa riposare tranquillo su questa terra maledetta. Il pomeriggio inizia la rassegna Cinema Pirata in Acque Internazionali, la sala è piena, ci sono i passeggeri e poi l’intero equipaggio: dal capitano ai marinai, agli ufficiali, ai macchinisti. Proiettiamo S is for Stanley, di Alex Infascelli, documentario dedicato all’autista di Stanley Kubrick, Emilio D’Alessandro. A fine proiezione alcuni marinai mi dicono di non conoscere Kubrick, ma di essersi identificati col protagonista, per la disciplina e il senso del dovere. A cena Christine e Philippe mi chiedono del documentario, sono rimasti sorpresi dall’umanità del protagonista. Silvana dice una cosa molto vera, in fondo Emilio era pur sempre un ex pilota, dietro la sua anima gentile si celava l’amore per il rischio, e allora cosa c’era di meglio che lavorare per Kubrick?
9 GENNAIO 2018: IL MENU
A pranzo, come sempre, do uno sguardo al foglio che comprende sia il menù del pranzo che della cena. Come secondo previsto per la sera c’è “pancia di maiale al sangue”. Lo faccio notare agli altri commensali, e inizia così una lunga discettazione sulle salsicce al sangue toscane e altre specialità vampiresche. Gli ufficiali invece di perdersi in chiacchiere si precipitano allarmati in cucina, e si scopre così che è stato un errore dell’allievo che compila il menù, la portata corretta è “pancia di maiale al sugo”. Nonostante il chiarimento però chiedo ad Alfredo se posso avere una fettina semplice in sostituzione. La tipologia di passeggeri che sceglie di fare questo viaggio è -me lo ha confermato il capitano- pensionati che viaggiano al seguito del loro automezzo per visitare poi il Sud America. Si vestono in modo casual, hanno jeep o camion attrezzati per affrontare una vita on the road e volendo pure una guerra lampo. Scopro così una categoria nuova, che sembra uscita da Cocoon, perfettamente in linea con le tesi di Homo Deus, lettura di questi giorni: “la morte è solo un problema tecnico”.
10 GENNAIO 2018: NUOVA TAPPA IN SENEGAL
Il pomeriggio costeggiamo le Canarie e insieme alla linea internet arriva l’estate. La sala comune è vuota, tutti i passeggeri sono già seduti sulle sdraio che Alfredo ha sistemato fuori in fila.
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A pranzo il comandante si avvicina al tavolo con un foglio e mi dice che non ci sono buone notizie: a sorpresa si è aggiunta una nuova tappa in Senegal ed è previsto un ulteriore ritardo di tre giorni. Siamo già a un totale di sei giorni: dal 21 l’arrivo della nuova schedule è il 27. A Rio ho un appuntamento il 29 con l’organizzatrice della mostra, arriverò all’ultimo momento come Willy Fog? Il mare è così, bisogna accettarne i tempi, e sperare.
11 GENNAIO 2018: L’OCARINA DI SCOPPOLA
Sulla nave avvengono tante cose che ho già letto in Clemént, ad esempio quando arriva il caldo inizia la manutenzione: tutto l’equipaggio si precipita fuori per dipingere, riparare, apportare migliorie. È tutto un via vai operoso, ovunque mi giri vedo uomini che accudiscono la nave. Nel frattempo siamo giunti di fronte l’Africa: su ogni lato di questa immensa piattaforma si vedono un mare e un cielo diverso, a poppa c’è il ricamo bianco della scia e per contrasto l’acqua appare più blu; a prua tutto è sovraesposto e il water deck con i container a vista ti ricorda il motivo per cui la nave attraversa i mari; a destra, anzi a dritta, dove si trovano le sdraio, tutto appare più tenue perché schermato dalle ombre della scialuppa di salvataggio; l’altro lato invece è quello che mi da più il senso del mare aperto, perché privo di ostacoli visivi.
Provo a suonare l’ocarina che mi ha dato Emanuele Scoppola, con tanto di spartiti ideati e disegnati da lui. Scelgo la melodia dell’Intervallo RAI, che mi sembra adatta per l’occasione. Il rumore dei lavori e del motore della nave copre gli sbagli e posso esercitarmi senza pensieri. In lontananza vedo Christine e Philippe che fanno i loro 20 giri di ponte giornalieri, equivalenti a due km. In un Intervallo RAI di trent’anni fa, loro avrebbero suonato l’ocarina e io fatto i giri di ponte, ma i tempi cambiano.
12 GENNAIO 2018: CHRISTINE E PHILIPPE
Di mattina il capitano mi dice che arriveremo a Dakar in serata e staremo all’ancora, perché potremo entrare al porto solo all’alba del 13. Anche se siamo in mare aperto si capisce di essere in Africa, c’è una luce chiarissima e lattiginosa, perfetta per i miraggi, e in cielo non c’è una nuvola. A pranzo Christine e Philippe mi raccontano del periodo trascorso ad Abu Dhabi, erano appena sposati, avevano 25 anni. Mentre lui era impegnato col dragaggio dei fiumi lei fu assunta prima in un centro di bellezza perché di lingua madre francese, per dare più allure al servizio. Insieme a una equipe fu incaricata di far dimagrire la moglie di un ministro, che in un anno perse più di 30 kg, passando da 120 a 90. Poi divenne segretaria di una compagnia petrolifera, lavorava in un grande appartamento, e l’office boy addetto ai caffè era pure incaricato delle pulizie, ma non sembrava curarsene. Lei allora chiese pulizie approfondite e dopo qualche minuto sentì dei forti rumori provenienti dall’angolo cucina: l’office boy stava buttando delle secchiate contro il tinello e i pensili. Con Silvana guardiamo di seguito due film di Woody Allen, è ormai un rituale serale. I motori della nave si fermano poco dopo i titoli di coda di Misterioso omicidio a Manhattan, siamo a Dakar.
13 GENNAIO 2018: L’ARRIVO A DAKAR
La mattina iniziano le operazioni di ispezione, passando davanti la sala riunioni vedo il capitano e il terzo ufficiale in piedi, e un delegato ai controlli seduto. Questa scena mi appare solenne, tutti in silenzio a compiere il rituale delle pratiche necessarie al carico e scarico merci. Dopo il vaglio dell’immigrazione i passeggeri sono liberi di uscire, io e Silvana decidiamo di restare a bordo, per vari motivi, tra cui il caldo mostruoso e le poche ore a disposizione. Dall’oblò vedo il porto, il cielo rarefatto dell’Africa, qualche albero, e in lontananza l’isola di Goree.
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