Manierismo high-tech. Gianni Piacentino a Roma
Galleria Mucciaccia, Roma ‒ fino al 18 gennaio 2018. Trenta opere ripercorrono la ricerca dell’artista dal 1966 ai giorni nostri. Un’indagine in cui colore e forma si esaltano annullandosi a vicenda, privati di ogni riferimento all’originario mondo naturale.
Sembra di sfogliare il catalogo di un’azienda di design con prototipi, tavoli, infissi, specchiere e altre strutture simili, ma ci si rende conto ben presto che gli oggetti rappresentati sono privi di caratteri di funzionalità.
Si tratta della monografia della retrospettiva dedicata a Gianni Piacentino (Coazze, 1945), dove si osservano. “Biciclette non utilizzabili su due o tre ruote, bizzarri oggetti allungati e leggiadre costruzioni fatte più per essere guardate che per essere usate“, come sottolinea Gunter Pfeiffer nel testo presente in catalogo.
Più di trecento pagine per restituire la ricchezza e l’ampiezza di una ricerca, nata già a partire dagli Anni Sessanta, attraverso opere, disegni, progetti, fotografie biografiche e di repertorio, allestimenti storici, cataloghi, inviti e documenti di varia natura, rilegati con una copertina ideata appositamente dall’artista.
AUTO-MANIERISMO
Novità assoluta della mostra presso la Galleria Mucciaccia sono gli ultimi lavori metallici di Piacentino che rimandano ai modelli realizzati tra il 1965 e il 1980. Un “auto-manierismo”, come lo definisce l’artista, dove i colori appaiono rinnovati. In un’intervista di Tommaso Trini del 1968, riportata all’interno del catalogo, l’artista racconta che la sua cartella di colori comprendeva già allora più di 300 tinte e che studiava continuamente tutte le gradazioni e timbri di ogni tono.
Si evincono da questo la sua netta precisione e il costante rigore progettuale che, unendosi alle coordinate riconoscibili della sua opera, fatta di geometrie e oggetti cromatici dalle forme essenziali, rivela un percorso creativo unico, estraneo a una qualsiasi classificazione e lontano da altre correnti artistiche che apparentemente mostrerebbero caratteri simili, come la Minimal Art o per certi versi l’Arte Povera.
OGGETTI PARAREALI
Le trenta opere esposte, combinate in posizioni rigorosamente stabilite, si mostrano come luoghi oggettuali, portali, finestre, veicoli o ali e altre immagini evocative. Molti sono i simboli che, seppur statici, alludono alla velocità e all’accelerazione dal momento che la sua ricerca parte proprio dalla passione personale per la moto, gli aerei e la velocità. Corpi plastici definiti dall’artista “oggetti concreti parareali”, che non vogliono somigliare a quelli reali. Ogni familiarità o quotidianità dell’oggetto viene infatti annullata da una rielaborazione che gli consente di reinventarne la forma. “Realtà aumentata degli oggetti del mondo“, così li definisce la curatrice Francesca Pola nel suo testo in catalogo.
‒ Donatella Giordano
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