L’artista che lascia disegnare la natura. Roberto Ghezzi a Perugia
Palazzo Graziani, Perugia ‒ fino al 4 febbraio 2018. Roberto Ghezzi è un artista toscano che ha chiesto alla Natura di rappresentare il proprio mistero. Fresco vincitore dell’Artapp Artist Contest, con il suo ultimo lavoro "Physis ‒ I codici dell’invisibile", Ghezzi ha ottenuto anche il prestigioso Premio ORA 2016.
Che volto ha la vita segreta dei boschi? Il silenzioso dinamismo del caos? Quali forme creerebbe il vento se potesse dipingersi da sé? E la terra, l’acqua? E il viaggio di un insetto: che tipo di ricami lascerebbe su una tela?
Roberto Ghezzi (Cortona, 1978) sembra averci pensato a lungo. Dopo aver rappresentato la realtà dipingendo paesaggi, decide di invertire le regole andando oltre i limiti della mimesi. Abbandona la pittura, lasciando che sia il luogo stesso, la Natura con i propri elementi, a ritrarsi.
Nasce così il progetto Physis – I codici dell’invisibile, con le sue Naturografie: supporti pittorici che Ghezzi, un giorno d’inverno, ha cominciato a consegnare alla Natura inserendoli all’interno di ecosistemi che prima ritraeva. Luoghi solitari, boschi incontaminati, lontani dalla frenesia del mondo. Opere che diventano il palco dove la Natura può esibirsi indisturbata. Una serie di tavole bianche dove si possono vedere i disegni di chi opera in silenzio. Dove la forma del vento si manifesta, rendendo vero un certo mistero. Dove la terra può depositarsi e dipingere la tela da sola. E il movimento di un insetto può essere tracciato.
Il risultato è interessante, anche a livello estetico, e non così dissimile dai dipinti che l’artista faceva un tempo: rappresentazioni sintetiche della realtà, dove una semplice linea d’orizzonte è sufficiente per raccontare un mondo.
ATTESA, SILENZIO, ENERGIA
Le installazioni della mostra ospitata a Palazzo Graziani, curata da Andrea Baffoni, beneficiano di un suggestivo allestimento che, sfruttando l’effetto di molteplici light box, offre un’esperienza artistica affascinante. Che sia il Lago Trasimeno o un torrente di montagna o un bosco in collina, il paesaggio non è vissuto come immagine diretta, ma vive delle emozioni trasferite nell’immaginario personale, come fosse l’impronta di una sindone dove è rimasta per sempre la sua traccia.
I supporti pittorici con cui l’artista opera vengono fissati tra i sassi dei ruscelli, i rami di un torrente, o immersi nelle rive di un lago; esposti dunque, per un certo periodo di tempo, al perpetuo movimento dell’acqua, al massaggio pastoso della terra, alla forza del vento: a tutte le energie dell’ambiente circostante.
L’artista affronta la realtà che vuole esplorare diventando suo collaboratore, entrando in punta di piedi dentro un segreto primitivo. Pur di instaurare un legame più intimo con i suoi paesaggi, di rispondere a certe domande esistenziali, Ghezzi apre la porta dell’ignoto, rinunciando a molte delle certezze su cui poggiava il suo fare arte.
Ma il suo è un salto nel vuoto voluto, desiderato, consapevole, gestibile una volta in volo. Qui l’artista infatti diventa il deus ex machina dell’impresa creativa, poiché manovra alcuni elementi fondamentali che contribuiscono all’aspetto e al significato dell’opera finale. Oltre alla scelta del luogo, Ghezzi determina quando la tela è pronta per essere prelevata e blocca la creazione fissando le impronte della natura con la resina. Senza questa azione le Naturografie continuerebbero a evolvere all’infinito.
Ghezzi sceglie inizialmente di indagare il silenzio dei suoi boschi, della sua terra. Colloca le sue tele in luoghi a lui familiari, conosciuti (alcune installazioni sono anche in Islanda), affidando quel “racconto”, la trasposizione di quell’essenza cosi ostinatamente ricercata, all’invisibile agire della Natura. È come se immergesse in quel mistero un filtro: una tela bianca che inizia a scriversi nel momento in cui viene donata al paesaggio.
OLTRE LA MIMESI
Viste nella fase installativa, le Naturografie potrebbero sembrare creazioni di Land Art, mentre il metodo che l’artista segue si differenzia sostanzialmente da questa corrente artistica. Ghezzi non scava, non disturba, non irrompe nella natura, non la invade né crea opere con elementi naturali. In un certo senso quello che accade è esattamente il contrario: è la Natura che invade il supporto pittorico. Strumento non casuale che qui rappresenta il simbolo di un precedente percorso artistico ritenuto inadeguato a fornire certe risposte.
Una sfida concettuale che incoraggia anche riflessioni di ordine filosofico, non solo artistico. Un modo per allargare i confini che hanno delineato fino a oggi certe sperimentazioni, soprattutto nell’ambito della pittura paesaggistica. Ma anche un salto oltre il recinto di alcune ricerche che usano la natura, e i suoi elementi, come soggetto o come “cassetta degli attrezzi”.
Uomo e Natura sono dunque concatenati: l’uno è necessario all’altra. Insieme danno vita a un nuovo organismo, un piccolo ecosistema: è un paesaggio senza mappa quello che va a finire sul supporto pittorico di Ghezzi. Solo il luogo dove viene collocata la tela è mappato, il resto, quello che l’artista crea insieme alla Natura, prima non c’era.
‒ Alessandra Quintavalla
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