40 anni dal sequestro di Aldo Moro. Il MAXXI lo ricorda con un’opera di Francesco Arena
In occasione del quarantennale dal rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, il MAXXI di Roma ricorda il politico italiano con l’esposizione di “3,24 mq”, opera dell’artista Francesco Arena che riproduce la cella in cui 40 anni fa lo statista fu sequestrato per 55 giorni
Era il 16 marzo 1978 quando Aldo Moro – tra i fondatori e in quel periodo anche presidente di Democrazia Cristiana, oltre a essere stato più volte presidente del Consiglio dei Ministri – venne sequestrato dalle Brigate Rosse. L’auto sulla quale il politico stava viaggiando, una Fiat 130 diretta alla Camera dei Deputati, fu intercettata da un commando di brigatisti all’incrocio tra via Mario Fani e via Stresa a Roma. In quella occasione, le Brigate Rosse uccisero i cinque uomini della scorta e rapirono Moro. Un sequestro durato 55 giorni, durante i quali in Italia si aprì un dibattito ideologico e politico tra coloro che consideravano la possibilità di trattare con i brigatisti e coloro che invece rifiutavano di scendere a compromessi. Intanto, però, il 9 maggio 1978 il corpo di Aldo Moro fu ritrovato dentro il bagagliaio di una Renault 4 a Roma, in via Michelangelo Caetani. A quello che rappresenta uno degli episodi più drammatici della storia italiana è dedicata l’iniziativa promossa a Roma dal MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo. Dal prossimo 16 marzo fino al 9 maggio l’istituzione esporrà l’opera realizzata dall’artista Francesco Arena 3,24 mq, installazione che riproduce la cella in cui 40 anni fa Moro fu sequestrato per quasi due mesi.
L’INIZIATIVA PROMOSSA DAL MAXXI
Per rendere onore alla memoria di Aldo Moro, il MAXXI si affida allo sguardo e ai linguaggi di Francesco Arena (Brindisi, 1978), autore di 3,24, opera che riproduce in dimensioni reali l’angusto spazio nel quale Moro fu tenuto prigioniero per 55 giorni. La “cella” di Arena sarà esposta nelle date del rapimento e del ritrovamento del corpo di Moro. L’opera sarà in mostra nel cuore del museo, nella galleria che ospita la collezione permanente. Durante il periodo di esposizione, inoltre, saranno organizzati incontri con storici, studiosi, giornalisti e scrittori. “Avevamo già in programma questa celebrazione, ma oggi più che mai ci sembra necessaria”, ha dichiarato Giovanna Melandri, presidente della Fondazione MAXXI. “Anche un’istituzione come il MAXXI deve fare la sua parte per contrastare ogni segnale di imbarbarimento del clima culturale e sociale del nostro Paese. Ci auguriamo che vengano in tanti, soprattutto giovani, ad assistere agli incontri e a vedere con i propri occhi un’opera d’arte che ci fa rivivere in modo profondamente toccante uno dei momenti più tragici della nostra storia recente”.
ALDO MORO VISTO DA FRANCESCO ARENA
“Ho realizzato ‘3,24 mq’ nel 2004, in occasione dell’apertura della Monitor Gallery di Roma”, racconta ad Artribune Francesco Arena. “Ho colto l’occasione per lavorare a quest’opera a cui pensavo già da tempo, un’opera che si interroga su come gli spazi cambino le persone e su come gli spazi siano cambiati dalle persone”. Una riflessione, quella dell’artista partita dalla stessa città di Roma, dalla sua storia e dai suoi luoghi, per poi compenetrarsi con le vicende biografiche di Arena. “Roma è la città dei pellegrinaggi per eccellenza. Nella cultura cattolica è molto forte l’esigenza di visitare i luoghi sacri, e Roma ne è piena. Ma è piena anche di luoghi importanti non religiosi, iconici per la storia italiana, come la cella in cui è stato prigioniero Moro. La vicenda di Moro è per me interessante perché è una storia legata alla mia infanzia: sono nato nel 1978 – anno del suo sequestro e dell’uccisione – e poi è una storia di cui ho sempre sentito parlare nella mia famiglia, politicamente democristiana. Moro era visto come una figura mitologica, anche perché una figura mitologica diventa tale per via di ciò che gli accade durante la vita o la morte, spesso suo malgrado”.
DA UOMO POLITICO A ICONA
“Ho realizzato una cella – una reinterpretazione del luogo in cui è stato prigioniero Moro – perché la vedo come un luogo di trasformazione (infatti la mostra da Monitor si intitolava ‘Laboratorio’). La cella”, continua a spiegare Arena, “è il luogo in cui l’uomo politico si trasforma in icona. Il mio è un lavoro sull’icona: su cosa è, come nasce o lo diventa, e la vicenda di Moro in questo non solo è esemplare, ma è anche un momento chiave della storia italiana, della memoria collettiva e personale di ognuno di noi. Ho spogliato la cella di ogni riferimento figurativo, l’ho realizzata nella sua essenzialità di luogo di detenzione: in questo modo essa diventa luogo di riflessione personale, un luogo di confronto in cui le memorie si stratificano”.
– Desirée Maida
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