Arte contemporanea italiana. L’opinione di Filippo Riniolo
L’artista performativo Filippo Riniolo aggiunge la propria voce al dibattito sull’identità dell’arte italiana contemporanea innescato da Gian Maria Tosatti.
“Preferirei di no”. Una risposta che spiazza lo studio legale delle pagine di Melville.
Credo che la creativa e improbabile risposta di Bartleby sia l’atteggiamento che potrebbe salvare un’identità fragile, dandole lo smalto che la storia richiede.
Fra le repliche a Gian Maria Tosatti di Christian Caliandro e Raffaele Gavarro, provo sommessamente a contribuire al rapporto fra identità collettiva e sistema dell’arte, partendo ovviamente da un altro punto di vista. Ovvero da me.
Il femminismo per fortuna non è buono solo per tenere conversazioni colte a un vernissage, ma anche come pratica per leggere la realtà e intervenire.
Comprendi di essere un artista europeo quando le strade di Beyoglu si aprono davanti ai tuoi occhi, quando conosci i curatori, gli artisti, i galleristi di Istanbul e capisci che questi, reagendo a una torsione liberticida, guardano gli Stati Uniti e non l’Europa come meta. Anche nell’arte. E capisci che “il tuo collezionismo di parole complicate” a loro ricorda la pesantezza di un regime più che una storia di libertà.
Quando cogli che per molti, nell’area del Mediterraneo, contrapporsi agli ultimi duemila anni di storia dell’arte vuol dire guardare agli Stati Uniti come modello (che devono apparire più brillanti di quanto appaiano a noi). Allora la risposta “preferirei di no” segna un’identità.
Sorvolo su quanto l’identità per me sia una pratica performativa, che si fa e non che si è, perché penso che Judith Butler sia patrimonio comune fra questi lettori.
“L’identità europea esiste e noi artisti lo sentiamo sulla nostra pelle, non tanto perché ci sia un popolo che vi corrisponde, ma perché c’è una storia comune”.
Sebbene l’analisi in Italia sia spesso ferma al post guerra fredda, i politologi americani stanno discutendo del superamento dell’unipolarismo americano nato proprio dopo la caduta del muro, e parlano più di apolarità che multipolarità. Dunque il mondo e il potere politico sono frammentari, mentre l’economia scivola nelle mani di pochissimi che detengono ricchezze che nemmeno sanno misurare.
Mi aspetto che l’arte restituisca, come in ogni epoca, questa apolarità che può essere ricchezza se non pretende di appiattire le identità. Che non sono necessariamente quelle dei popoli, o peggio delle nazioni, ma sono sempre identità delle storie delle moltitudini che contengono singolarità, come le donne, i queer, i migranti.
L’identità europea esiste e noi artisti lo sentiamo sulla nostra pelle, non tanto perché ci sia un popolo che vi corrisponde, ma perché c’è una storia comune.
Per cui mi permetto di rispondere a Tosatti dicendo che l’identità e il contesto lo dobbiamo produrre. Facendo la storia, provando a esserne protagonisti. Che c’è un aspetto performativo comune che determina chi siamo come popolo, che il nostro lavoro deve provare a determinare.
Penso sempre che le opere siano promesse che si autoavverano; determinano il futuro cambiando il presente. Ed è per questo che molti lavori della nostra generazione parlano di politica e di identità.
– Filippo Riniolo
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