Mauro Staccioli, Prato e lo scandalo della scultura fatta a pezzi
Alberto Fiz torna sul caso di Prato ’88, la scultura creata appositamente dal compianto Mauro Staccioli per il Pecci di Prato. Una storia che resta in sospeso e che riserva sorprese non gradevoli.
Lacrime di coccodrillo. È passato un mese dalla scomparsa di Mauro Staccioli, tra i maggiori protagonisti della scultura italiana. Terminato il cordoglio e i discorsi di rito, tutto è stato archiviato. Nei giorni del lutto qualche politico locale ha assicurato che si sarebbe preso cura di ricollocare Prato ‘88, ma poi, appena spenti i riflettori, tutto è scivolato nella consueta incuria e indifferenza. Con qualche sorpresa che siamo in grado di rivelare. Ma andiamo per ordine. Cos’è Prato ‘88? Non è la sigla di un taxi né la volante della Polizia. Si tratta di una delle più importanti realizzazioni di Staccioli, un punto di riferimento per comprendere la sua visione dello spazio e dell’architettura che ha avuto un destino così perverso da diventare il simbolo perfetto dei mali italiani dove s’incrociano imperizia, sprechi, sciatteria e la totale indifferenza verso l’arte. Una storia assurda e persino farsesca dove a farne le spese è stato un artista sin troppo generoso, che non ha mai smesso di credere nei musei e nelle amministrazioni pubbliche. Prato ‘88 è un arco rovesciato di 34 metri di lunghezza e di 12 metri d’altezza in ferro e rivestimento di cemento creato da Staccioli nel 1988, l’anno in cui è stato inaugurato il Pecci. Proprio con il museo pratese l’opera era strettamente intrecciata. Aveva la stessa altezza dell’edificio e doveva essere un segnale in grado di collegare lo spazio pubblico al resto della città. Quando, però, si è deciso l’ampliamento del museo con l’approvazione del progetto di Maurice Nio, per Prato ‘88 non c’è stato più posto. Così si è preferito distruggerla e buttare lo scheletro di ferro sul ciglio della strada dove, vergognosamente, si trova da circa dieci anni. Eppure, doveva essere una situazione transitoria e nessuno ha mai dichiarato ufficialmente di non apprezzare quel lavoro o di volersene disfare. Anzi, la “mezzaluna”, come l’hanno definita affettuosamente i pratesi, era un emblema per la città e per il suo museo.
UNA LUNGA STORIA
Le proposte per ricollocarla, almeno sulla carta, sono partite quasi subito e nella documentazione inedita che Artribune è in grado di presentare emerge un progetto datato maggio 2009 del Comune di Prato dove compare il nome dell’allora assessore ai lavori pubblici Enrico Giardi dove si prevede di ricollocare la scultura di Staccioli al centro della rotonda della Questura, di fronte al museo. Tuttavia, non se n’è fatto nulla per anni, sebbene venga chiesto all’artista un nuovo progetto. Così Staccioli, inizialmente piuttosto refrattario, ribalta l’idea iniziale e trasforma radicalmente la sua opera come emerge dai render che qui vengono pubblicati. La struttura viene modificata e mentre la base crea una forza centripeta espandendo all’esterno lo spazio del museo di Nio, la parte più alta guarda verso la città, quasi fosse una stella cometa. Una scultura protesa oltre il suo baricentro dove gli opposti non si respingono ma trovano un loro rinnovato equilibrio.
A questo punto, finalmente, tutto sembra pronto per il grande giorno in cui Prato ‘88 verrà battezzata per la seconda volta, tanto che il museo e il Comune si attrezzano per far coincidere l’inaugurazione della scultura con quella del nuovo museo avvenuta, dopo molti ritardi, nell’ottobre 2016. I costi, del resto, non sono affatto proibitivi e per i rifacimenti e la collocazione definitiva dell’opera sono sufficienti 60mila euro, un’inezia rispetto alla spesa per il museo pari a 14,4 milioni di euro, il doppio rispetto a quello preventivato. Il Comune di Prato, con in testa l’assessore ai lavori pubblici Valerio Barberis e l’assessore alla cultura Simone Mangani, danno l’incarico alla ditta Nigro & C. Costruzioni che cantierizza l’area recintandola con un’evidente struttura blu e al centro l’immagine di Prato ‘88. Dopo otto anni, sembra proprio che a Staccioli tocchino, finalmente, i giusti onori.
NESSUN HAPPY END
La storia, però, non ha il tanto atteso happy end. Ecco il colpo di scena: nonostante lo stanziamento, i lavori si bloccano, in quanto i piani di costruzione non vengono depositati al genio civile che doveva concedere i permessi. In tal modo, la scultura va nuovamente in fumo insieme ai fondi pubblici. Un’ennesima figuraccia, ma gli inguaribili ottimisti non si rassegnano e sono convinti che la situazione, prima o poi, si sbloccherà. Nemmeno per idea!
Dopo la scomparsa di Staccioli, infatti, si apprende dalla stampa locale che quella collocazione appariva da tempo esclusa in quanto era stato approvato (chissà da quando) un altro progetto. Come ha riportato con chiarezza TVPrato sul suo sito: “Accanto alla rotonda della Questura verrà costruita una passerella ciclo pedonale, disegnata proprio dall’architetto Maurice Nio. La passerella – il cui progetto è stato inserito nel Programma urbano di mobilità sostenibile, e che verrà quindi realizzata grazie a un finanziamento del Ministero dell’Ambiente – collegherà il parcheggio e il museo Pecci”. Oltre al danno anche la beffa. L’assessore alla cultura Mangani non demorde e vorrebbe istituire una commissione tecnico-artistica per decidere la nuova collocazione al di fuori della sfera Pecci. E nelle intenzioni del Comune l’opera potrebbe finire nel futuro parco urbano nella zona dell’ex ospedale. Peccato che Staccioli aveva fatto pervenire una lettera perentoria al Pecci in cui diffidava il museo dall’utilizzo dell’opera se la collocazione non fosse stata da lui approvata. In sostanza, di fronte a un uso improprio, non l’avrebbe più considerata opera sua. Forse sarebbe bene rileggere i suoi testi, dove già negli Anni Settanta scriveva: “Le mie sculture non sono pensate come oggetti di abbellimento stabile della città, come monumenti, non illustrano o celebrano un evento; sono strumenti di provocazione, di coinvolgimento e rilevamento critico, richiamo e condizione esistenziale presente, occasione di una discussione pubblica collettiva”. È possibile che un giorno, dopo dieci anni di diatribe, offese e soldi sperperati, il Comune di Prato si troverà in qualche piazza con il più grande falso di Staccioli con l’artista che dall’aldilà riderà dello scempio. “Sono cose che non possiamo capì”, come dice Alberto Sordi ne Le vacanze intelligenti in visita alla Biennale di Venezia del 1978 dopo essere passato davanti al Muro in cemento di Mauro.
– Alberto Fiz
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