Morto a Milano Getulio Alviani. Aveva 78 anni

Si è spento dopo una lunga malattia all’Ospedale don Gnocchi di Milano Getulio Alviani, tra i grandi protagonisti dell’arte italiana del secondo Novecento.

Si è spento all’ospedale don Gnocchi di Milano, dopo una lunga malattia, Getulio Alviani (Udine, 1939). Artista, progettista, grafico, teorico dell’arte, collezionista, promotore culturale, Alviani è stato indubbiamente uno dei grandi protagonisti dell’arte italiana del secondo Novecento.

LA FORMAZIONE E I PRIMI SUCCESSI

Nato ad Udine, Alviani si avvicina alla pittura giovanissimo. Il suo interesse si focalizza immediatamente sulla costruzione dell’opera e sull’analisi scientifica della percezione visiva della tela. Il passo verso la scultura, la grafica e la progettazione è breve. Fortemente influenzato da artisti come Josef Albers e Max Bill e vicino agli insegnamenti del Bauhaus, dalla fine degli anni Cinquanta Alviani si interessa di strutture plastiche e di cognizioni visive in campo industriale, frequentando studi di architetti e ingegneri. Sono questi gli anni in cui l’artista realizza le sue prime opere in alluminio, che riscuotono consensi immediati. Tanto che nel 1961 espone già in una personale all’estero presso la Mala Galerija di Lubiana. Il successo arriva nel ’62 con la partecipazione alla mostra Arte Programmata a Venezia, Roma, Düsseldorf, Leverkusen e a Zero presso la Galleria Diogenes di Berlino. Da quel momento la carriera di Alviani è in crescita costante. Partecipa alla mostra Nouvelles Tendences al Louvre di Parigi e nel 1965 alla collettiva The Responsive Eye al MoMA di New York che acquista alcune opere che entrano a far parte della collezione permanente.

LA CONSACRAZIONE INTERNAZIONALE

Intorno alla metà degli anni sessanta, Alviani realizza le prime stanze-ambienti con pareti di “superficie a testura vibratile”, termine per lui ideato qualche anno dopo da Carlo Belloli, che rappresentano il punto nodale della sua ricerca. Questa testura sul metallo fa assorbire e rimandare la luce – da qui il termine vibratile – che aiutato anche dal colore bianco del materiale crea complessi giochi di rifrazione che fanno mutare continuamente la superficie, generando immagini sempre diverse a seconda dell’angolo visuale. In acciaio e alluminio, le superfici a testura vibratili sono eseguite dapprima a mano libera, poi secondo un preciso ordine geometrico. Le opere possono essere, infatti, riproducibili in serie, perché sono il risultato di una precisa schema visivo. Contrario alla contemplazione passiva dell’arte e fautore convinto dell’interazione tra opera e pubblico, l’artista prende in considerazione fattori sensoriali, psicologici, emotivi nella costruzione dell’opera, muovendosi sempre sull’equilibrio delle componenti. Sperimenta opere cinetiche e lavori in lamiere di alluminio trattate. La consacrazione arriva nel 1968 con l’invito ad esporre a Documenta 4 a Kassel, ultima diretta dal suo ideatore Arnold Bode. Partecipa tre volte alla Biennale di Venezia nel 1984, 1986 e 1993 e dirige per 4 anni, dal 1981 al 1985, il Museo d’Arte Moderna di Ciudad Bolivar inVenezuela. Gli ultimi anni sono dedicati soprattutto alla progettazione architettonica e al design. Dal 1976 è stato professore di pittura all’Accademia di Belle Arti di Carrara.

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Redazione

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