Gian Maria Tosatti a Napoli. Un racconto
Galleria Lia Rumma, Napoli ‒ fino al 17 febbraio 2018. La personale è un viaggio dentro la Napoli vera e letteraria, nei luoghi intimi dell’artista. Tosatti porta in galleria il ricordo delle “Sette Stagioni dello Spirito”.
Ci sono due presenze importanti nell’ultima personale inaugurata dall’artista Gian Maria Tosatti (Roma, 1980) negli spazi della galleria Lia Rumma a Napoli. La prima è Napoli, che parla per bocca di Anna Maria Ortese, da sempre riferimento dell’artista romano, oggi diviso tra la città partenopea e New York. Il titolo stesso, damasa, riecheggia la protagonista del libro Il porto di Toledo, scritto nel 1975 dall’autrice, famosa per il capolavoro controverso Il mare non bagna Napoli. Poi ci sono le Sette Stagioni dello Spirito, un percorso in altrettante tappe che dal 2013 al 2016 ha riaperto, per mano di Tosatti, luoghi dimenticati della città, ha riattivato quartieri, ha fatto incontrare persone, o le ha invitate a esperire l’opera in solitudine, attraversando – idealmente con l’artista – i luoghi dell’anima, affrontando, anche con un certo timore, i fantasmi che ognuno dei palazzi poi riaperti da Tosatti portava con sé. Artribune ha raccontato più volte questo progetto che offriva, inoltre, una mappatura importante degli aspetti che riguardano una città: il porto, l’anagrafe, la religione, la formazione, e così via.
LE SETTE STAGIONI DELLO SPIRITO
Ripercorrere le Sette Stagioni dello Spirito offre l’opportunità di capire meglio la personale damasa e anche di coglierne le differenze, anche se il percorso creato negli spazi di Lia Rumma è a sé stante e con molte opere datate 2017. Innanzitutto cambia il tipo di esperienza. È la seconda volta che l’artista si confronta con l’oggetto mostra inteso in senso convenzionale (la prima era stata al Madre di Napoli, a conclusione del progetto napoletano). In entrambi i casi Tosatti rinuncia all’esperienza in solitaria, introducendo lo spettatore in una dimensione collettiva in relazione al proprio lavoro. In secondo luogo deve confrontarsi con uno spazio bianco, laddove l’abitudine l’aveva invece spinto a dare volti nuovi a pareti scabre, cariche di personalità e di storia, di segni, tracce sulle quali investigare. Nei musei e le gallerie, a servizio degli artisti e dei loro progetti, ogni volta lo spazio torna a essere neutrale, nonostante le tante vicende che i muri potrebbero raccontare.
LE OPERE IN MOSTRA
All’ingresso, 700 cementine di ferro, carta di giornali bruciata, un pavimento scelto dall’artista e ricostruito ex novo, un tavolo, reti di letti e una mezza pagnotta – che a ben vedere però non è reale, ma è di onice, in uno scarto inedito per Tosatti tra realtà e finzione – danno vita all’installazione principale e totalmente nuova che dà anche il titolo alla mostra. Nelle sale precedenti e successive si snodano i lavori più piccoli: ad accogliere lo spettatore Rassa, un registratore con traccia audio del 2017, a seguire il dittico e polittico l’Oro di Napoli che richiama alla memoria l’esperienza realizzata dall’artista con i bambini di Forcella. Sotto la coltre nebbiosa della stesura a pastello su carta, attraverso fori praticati a matita che simulano la forma dei proiettili della Camorra emerge l’oro, presente eppur nascosto dalle opacità. L’oro torna nel dittico Inferno che richiama Lucifero, la terza stagione omonima dello Spirito, così come l’intonaco object trouvé I fondamenti della luce- archeologia ne ripercorre alcuni passi. E tra gli ori e le carte compaiono ogni tanto mazzetti di fiori secchi, in omaggio alla compagna dell’artista, Lucrezia Longobardi, presenza delicata, ma sostanziale in tutti i suoi lavori. Chiude il cerchio l’opera Ritratto/Autoritratto, una doppia lastra in onice e in foglia d’oro su tavola di legno che riflette, nella sua semplicità, l’idea del sé.
– Santa Nastro
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