Sol Lewitt incontra Rem Koolhaas. A Milano
A Milano, sette “Wall Drawing” e quindici strutture animano l’antico palazzo ospite della Fondazione Carriero, a Milano. Curatori: Francesco Stocchi e Rem Koolhaas.
Con la collaborazione dell’architetto Rem Koolhaas, Between the Lines affronta aspetti ad ampio raggio dell’opera di Sol LeWitt (Hartford, 1928 – New York, 2007), indagando gli “interstizi”, come li definisce Francesco Stocchi, che tradizionalmente separano l’architettura dalla storia dell’arte e che caratterizzano l’intera pratica dell’artista.
Rem Koolhaas descrive le origini della mostra e il proprio ruolo di co-curatore.
Quando è iniziato il percorso?
La concezione e la produzione della mostra sono iniziate un anno e mezzo fa. Fondamentalmente ogni cosa che può richiedere un nuovo pensiero o nuovi riferimenti necessita anni per essere formulata. Con Francesco ci siamo conosciuti in Olanda, sei anni fa, e poi ho avuto il tempo di visitare alcune mostre alla Fondazione Carriero. Infine, in maniera assolutamente naturale, sono stato invitato a partecipare a questa mostra come co-curatore.
Quanto ha imparato a conoscere Sol LeWitt, durante questi mesi di preparazione?
Vivendo a New York negli Anni Settanta ho visitato molte delle sue mostre e sono sempre stato molto interessato al suo lavoro così come ai suoi libri. Ero così colpito dalle sue sculture, dai suoi modelli, come quelli esposti al piano terra e all’ultimo piano di questa mostra, che è quasi ovvio ritrovare affinità con modelli per edifici. Questa vicinanza è quasi logica, ma a partire da essa ho riscoperto anche altri lavori, molto diversi, più fragili e più resistenti.
Come è cambiata nel tempo la sua posizione critica nei confronti di approcci, metodologie e teorie elaborati da Sol LeWitt?
Quando vivevo a New York, Sol LeWitt era un artista e un teorico di cui molti si occupavano. Ma c’era una persona, in particolare, un architetto che era assolutamente ossessionato dal lavoro di questo artista: il suo nome era Peter Eisenman. Usava la medesima premeditazione e le sue modalità di trasformazione come parte del suo stesso lavoro. In un certo senso, è possibile dire che possedeva Sol LeWitt, lo incarnava e, per ciò, potrei dire che non sarei mai in grado di avere lo stesso tipo di legame. Posso affermare che oggi guardo ai Wall Drawing non come a un’incarnazione dell’architettura. Sono in grado di vedere i suoi lavori non come strutture che attraversano la scultura e la vita, ma come risultati di una carica emozionale che risiede oltre i suoi lavori in sé.
Quale nuovo significato assume il ruolo di curatore, per lei, in questa mostra?
In questo momento storico, ogni professione, distante oppure vicina alla propria, è troppo limitata dall’eccesso, non permettendoci di venire a patti con la schiacciante complessità del mondo. Attualmente e costantemente mi occupo di resistere ai limiti dell’essere architetto. E ritengo ci siano molte prossimità tra il mestiere del curare e quello dell’essere architetto, che alla fine è realizzare le migliori combinazioni, le condizioni più adatte, i più alti legami tra un ambiente e un oggetto.
Quale significato assume oggi il termine “concettuale”?
Ritengo che non ci si possa riferire a ‘concettuale’ prescindendo dal contesto socio-politico ed economico del periodo al quale fa riferimento. Stiamo vivendo tempi di grande turbolenza. Negli ultimi vent’anni il mercato economico è diventata la forza preponderante dietro ogni interazione tra la gente e gli altri sistemi di riferimento. Quindi la parola ‘concettuale’ è diventata quasi impossibile da utilizzare in ogni circostanza, perché suggerisce una certa purezza che pochi elementi possono ancora vantare. Ritengo che il pensiero riferito a ‘concettuale’ vada ben oltre rispetto ai tempi correnti, o alla semplice applicazione all’opera d’arte.
Anche Francesco Stocchi, curatore della mostra, interviene sulle scelte operate.
Seguendo quali modalità LeWitt crea e ha creato una sorta di ponte fra le linee, appartenente a diverse discipline?
Ritengo che l’esecuzione di un Wall Drawing abbia molto in comune con l’esecuzione di un brano musicale. E questo fatto è anche più evidente quando si presenta una distanza dell’autore in sé, dal momento che subentra necessariamente un certo grado di interpretazione. Noto che la tensione tra la bidimensione e la tridimensione che LeWitt esprime attraverso le sue strutture possa risultare prossima ad alcune tematiche con le quali il design si confronta.
Una volta Rem Koolhaas ha affermato che l’architettura ha un serio problema oggi. Potrebbe l’arte rappresentare una soluzione?
Di solito mi piace pensare che l’architettura proponga soluzioni, mentre l’arte crei problemi.
Quali significati enfatizza la simmetria in Between the Lines?
Credo che LeWitt stesso determini una logica di regole per permettersi di muoversi liberamente al loro interno. Se si inseriscono irregolarità in un ritmo chiaramente definito, queste spiccheranno.
‒ Ginevra Bria
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #8
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