RAID a Bologna. Il racconto della giornata da una insider della manifestazione
Veronica Santi, che ha collaborato all'iniziativa, ha seguito per Artribune il blitz degli artisti per RAID, svoltosi il 2 febbraio all'Hotel Caselle. Il racconto dell'iniziativa e le immagini degli interventi
Lo scrittore è alla finestra. Annusa l’aria. Osserva. Quanto è distante la realtà che riporta sul rettangolo luminoso e piatto? Picchiettando sulla tastiera del proprio computer, riporta le proprie emozioni in punta di dita, con il pudore di chi ha il dovere di fornire delle informazioni e, allo stesso tempo, di lasciare quel margine indefinito che l’immaginazione di chi legge riempie. Gli scrittori sono autori: agli artisti il manufatto, a noi la parola. In un momento storico dove l’afflusso continuo di immagini creano una realtà immediata e mai veramente piacevole (“un mondo troppo reale è osceno” scriveva Jean Baudrillard), esserci e raccontare di un evento come Raid mi sembra un gesto d’obbligo, oltre che un piacere personale. Come un Raid nel Raid, sono uscita dal plotone di artisti del quale faccio parte e mi sono data sei ore per raccontare un progetto che ho visto nascere e che per ArteFiera Bologna compie un anno di vita. Celebrando l’autorialità e la difesa della stessa.
– Veronica Santi
Il live streaming è visibile su FatStudio.org/raid-manumission-motel/
Il Manumission Motel è visitabile nelle giornate di
sabato 3 e domenica 4 dalle ore 11:00 alle ore 15:00
INTANTO / MARZO
Nel marzo del 2016, gli artisti Alessandro Brighetti e Giulio Cassanelli avevano preso un capannone industriale a San Lazzaro di Savena, nella periferia di Bologna. Lo spazio, battezzato come Fat Studio, era grande, bianco come i ciccioli di grasso nella mortadella e, da subito, si trasformò in un’officina di produzione permanente: da una parte, quella propriamente artistica di Brighetti e Cassanelli, i quali stavano entrambi sperimentando nuovi linguaggi visivi, il primo con sculture che disegnano segni concettuali, guizzi espansi, sentimenti e visioni nello spazio tridimensionale, il secondo imprigionando sul supporto verticale tracce di memoria, luce e materia; dall’altra, una produzione spontanea, che stava nascendo dall’aggregazione di menti che comunicavano col passaparola come si faceva nel ‘900, organizzavano cene, parties, after-parties e avviavano collaborazioni professionali che poi il Fat Studio ingurgitava dentro sé stesso con versatilità e vertigine. In altre parole, cioè, quelle prese nel sito, il Fat Studio si definiva come “protagonista e contenitore di associazioni spontanee, costruzioni dotte e processuali, alte ma anche basse, contrabbando semiotico, concatenazioni strutturali e strutturanti, scricchiolii, incisti infinitesimali, sperimentazione del pentagramma, tumulazione della briglia”.
DUNQUE / NOVEMBRE
Quando arrivò l’inverno, Brighetti e Cassanelli avevano già perlustrato tutto l’interland industriale di San Lazzaro. La nebbia nascondeva i loro segreti, la pianura e i campi poco distanti lasciavano che la fantasia si perdesse nell’orizzonte. Non lontano dal Fat Studio avevano trovato già da tempo una fabbrica abbandonata di 24.000 mq nella quale si producevano componenti meccaniche per case motociclistiche e dove avrebbero voluto disseminare alcune opere. Fuori la pompa di benzina in disuso, dentro stanzoni enormi, soffitti altissimi, pareti di mattoni verniciate di giallo woody woodpecker. Scarpe spaiate e tute blu buttate qua e là, adesivi di calciatori incollati agli armadietti degli spogliatoi, fogli e carpette con documenti ai piani superiori, giornaletti porno nella ex-infermeria, la centrale elettrica nel cortile. Vegetazione selvaggia che abbracciava angoli, anfratti, mura e crepe nel pavimento. Un pomeriggio di novembre Brighetti entrò nella nella fabbrica abbandonata e si imbatté in una stanza dove vide un rettangolo di guano enorme ritagliato quasi perfettamente sul pavimento, traccia della porzione di soffitto nella quale vivevano un centinaio di piccioni. Lì scattò la scintilla della creazione artistica: c’era concetto, estetica e stratificazione del tempo, memoria e scultura allo stesso tempo, un quasi-ready-made organico sintesi della pratica di entrambi gli artisti. Bisognava parlarne con Cassanelli e intervenire. Come? Complice la vita dentro il Fat Studio, l’istinto lo porta a pensare di coinvolgere altri autori. Raid, dunque, nacque qui. Davanti alla merda. E non d’artista, bensì, di piccione. Cassanelli ascolta e pensa al nome, che ne fissa semanticamente l’identità della pratica vissuta in modo estemporaneo, poi insieme a dei tecnici lavora alla fruizione via streaming simile a quella di un reality. Brighetti stila il manifesto e insieme definisco i dettagli del format: “R A I D prevede l’incursione di un gruppo selezionato di artisti in una location iconica e differente a seconda dell’edizione. Nell’arco di 6 ore il plotone realizzerà un intervento coerente alla struttura semantica del progetto ed alla natura dello spazio. Il sole cartesiano è l’aggregazione spontanea di individui che scelgono di celebrare ed offrire la propria creatività, intimità, idea, affrancati dalla lente distorcente del mercato”. E ancora: “R A I D è un gesto libero. R A I D non è una mostra. È una pratica. R A I D basa la propria incursione sull’estemporaneo, senza limitare in alcun modo la prolificità degli autori. R A I D è un bambino a cui prescriverebbero il Ritalin. Agisce ai margini e al centro. R A I D si fruisce in diretta, via schermo. Voyeurismo puro”.
QUINDI / GENNAIO
Iniziò il tam tam tra gli artisti presenti in città durante Arte Fiera 2017 per occupare la fabbrica abbandonata col primo Raid che prese il nome di “Museo per piccioni”. La mattina del 28 gennaio, nell’arco di sei ore, i dieci partecipanti crearono opere site specific utilizzando prevalentemente materiali recuperati in loco. Tutti gli interventi sono stati filmati e archiviati sul sito web di Fat Studio, così da rendere la condivisione della pratica e del lavoro realizzato globale. Tra i tanti, Francesca Pasquali realizzò un pavimento instabile con delle mattonelle degli anni ’60 trovate impilate nel giardino della fabbrica. Arthur Duff affrontò il tema scottante delle elezioni americane, al tempo appena avvenute. Come una sorta di cura o cortocircuito spazio temporale, Ivana Spinelli riordinò la stanza dei sindacati, pulendo le superfici, archiviando e catalogando ogni documento rinvenuto. Giovanni Termini utilizzò i cavi elettrici ormai privi di rame, Andrea Nacciarriti lanciò secchi di vernice bianca su oggetti iconici, mentre nell’aria echeggiavano le parole tratte dal Giardino Planetario e il Terzo Paesaggio di Gilles Clement, citato più volte dal gruppo di filosofi, poeti e intellettuali riuniti intorno a CCH. Nell’organizzazione del Raid e durante il Raid stesso la coppia Brighetti – Cassanelli erano due satelliti che giravano a diversa velocità e rotazione intorno all’evento. Non sfuggì loro (quasi) niente. La sensibilità era complementare, cercavano di soddisfare ogni richiesta dei colleghi come se fosse una loro esigenza artistica, imponendo da subito un’atmosfera di collaborazione a catena. Tuttavia, quando arrivò il momento di creare la loro istallazione, i due hanno abbandonato in un attimo il ruolo di organizzatori e si sono trovati nello stesso punto e alla stessa ora, come se si fosse trattato di un duello nel far west. Stavolta l’attenzione era tutta nella loro azione. Non si sono fermati un attimo, si sono confrontati, costruito strategie e agito. Serissimi si sono vestiti da Black Block della metalmeccanica, i corpi protetti dalle tute blu e le maschere antigas per non respirare la polvere, guanti e scope per pulire in modo maniacale il pavimento esterno al rettangolo di guano sul quale hanno poi posato una piramide di chicchi di mais verdi che Cassanelli aveva voluto colorare di verde smeraldo, utilizzando un colorante per alimenti. La partecipazione a tutti i livelli era, infatti, la parte fondante il loro intervento, nonché ontologica a Raid, qui dedicato a chi popola ogni giorno la fabbrica e fruitore futuro delle opere d’arte: i piccioni, che mangiando il mais colorato, avrebbero poi dipinto di guano verde l’intero spazio abbandonato.
E POI / GENNAIO
Al tema del lavoro affrontato durante “Museo Per Piccioni”, sono seguiti quello dell’alimentazione con “Sfornare Mondi” durante l’Art Week Milano nella ex fabbrica di panettoni della pasticceria Cova e quello dell’istruzione con “La Ricreazione”, avvenuto per Artissima all’interno dell’Istituto Comprensivo Sandro Pertini nell’area torinese dell’ex Moi. A queste, si è aggiunto anche RAIDvertisement, replicabile e commissionato dal Festival perAspera, durante il quale in un campo con poca erba e di dubbia visibilità, vicino al Fat Studio, sono stati piantati ex-cartelloni pubblicitari che, come si legge nel comunicato stampa, “artisti, associazioni culturali e individui hanno usato come megafono per le urla interiori, grimaldelli per l’iconoclastia, rampe di lancio per le alternative che l’umanità sa e vuole e deve proporre. Spazi per l’insopportabile”. La quarta edizione per Arte Fiera 2018 segna invece il giro di boa del progetto che il 2 febbraio, ha dunque compiuto un anno di attività. Il palcoscenico di questo Raid è l’Hotel Caselle, inquietante edificio alla Hitchcock che si affaccia sulla rotonda dello svincolo 13 della tangenziale di Bologna, a pochi minuti dalla fiera. Rivendicando l’importanza dell’autorialità e la sua difesa, uno dei principi cardine del format, il tema ha toccato gli artisti da vicino che, infatti, hanno risposto con generosità alla chiamata del Fat Studio: 45 artisti, 1 orchestra, 2 progetti curatoriali. E tre registi: Elia Andreotti, Davide Labanti e la sottoscritta, che, a differenza delle precedenti edizioni, durante le quali ogni artista aveva il proprio canale fisso online, hanno il compito di coprire l’intero evento streaming, muovendosi all’interno della struttura ognuno con il proprio occhio e sensibilità d’interazione. Durante un sopralluogo, il proprietario Angelo mi ha raccontato che è nato in questo edificio quando ancora non era una un hotel, nel tempo lo ha visto trasformarsi nella destinazione e nella struttura interna. La rivoluzione di Raid e la libertà d’azione lasciata agli artisti sembra non scalfire la sua voce pacata. Il suo dolce sorriso mi ha rassicurato.
IN-FINE / MANUMISSION MOTEL
Serotonina artistica che si sprigiona lontano dalle dinamiche di mercato. Eccitazione ipoallergenica della creazione estemporanea e condivisa. Siamo qua, all’Hotel Caselle, ormai divenuto il Manumission Motel, dove gli autori di Raid stanno realizzando i loro interventi, da domani parte integrante dell’Hotel Caselle. Inno all’armonia e al fluire in libertà, nella televisione della reception dell’Hotel, Virginia Zanetti sta mettendo un video nel quale dei musicisti interpretano Habanera dalla Carmen di Bizet immersi in un fiume. Sempre nella reception Loris Cecchini ha fatto installare un progetto per un pianeta inesistente, manomettendo una stampante 3D. Corinna Ferraresi riveste l’ascensore di lastre di zinco incise con degli acidi, mentre la Lite Orchestra campiona dei suoni per comporre il jingle della segreteria telefonica del Manumission Motel. All’esterno della struttura, Davide Dormino crea tre sculture con materiali di recupero trovati nella limonaia dove la famiglia del proprietario dell’Hotel Angelo lavorava il marmo. Tra gli interventi nelle camere, Spazio Y di Roma ha portato “Intimità Forzate”: 36 domande trasferite sulle pareti e le cui risposte (avvenute a due a due e a porte chiuse) rimarranno nella stanza 307 come registrazione sonora. Toxic, storico writer del Bronx, insieme all’amico JC, è fuori armato di bomboletta, che copre un quadro dell’Hotel con la propria cifra stilistica made in NY. Silvia Giambrone è sdraiata sul letto ai lati del quale ha installato due catene il cui ultimo anello è un paio di ciglia. Angelo Bellobono realizza due dipinti utilizzando tracce di muffa scoperte e recuperate dietro i quadri dell’Hotel mentre Giovanni Gaggia ricama su una coperta dell’hotel la frase di Bianco-Valente gli odori risvegliano i ricordi. L’intervento di Umberto Ciceri ha invece a che fare con i sogni: muovendosi al ritmo di un video girato durante il rito di una tribù degli indiani d’America in Utah, l’artista sta trasferendo sul muro uno stencil composto da tavole numeriche magiche. Oltre al lavoro degli artisti, per questa edizione Raid ha ospitato due progetti curatoriali: “Ice Cubes”, di Milena Becci, che ha messo in scena un confronto live tra gli autori presenti e alcuni critici, e “A Blu Love Connection”, concepito da Elena Florin dopo la perdita del cugino avvenuta durante l’attentato terroristico di Barcellona del 2017, che chiede di piantare semi di fiori blu, simbolo internazionale della pace.
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