Archivi digitali e arte contemporanea. Parola a Gabriella De Marco
Nell'era della rete, che solleva importanti questioni connesse all’integrità, alla persistenza e alla deperibilità dei dati, quali connotazioni assume la dialettica tra archivio e arte contemporanea?
Ricordo, se la memoria non m’inganna, di aver letto nell’Insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera la frase: “Che tristezza gli archivi! Sono meno frequentati dei camposanti”. L’archivio, dunque, pur se in un contesto narrativo e quindi di finzione, diviene nelle pagine del noto scrittore espressione di un sapere anacronistico, antiquariale, e come tale, noioso. Diversamente, nella pratica l’archivio, quale che sia la sua forma e natura, può considerarsi uno dei luoghi che, per antonomasia, esprime la memoria culturale di una comunità proprio perché conserva, tramanda il sapere collettivo rispondendo, in tal modo, a funzioni ed esigenze diverse. Sia esso cartaceo o “virtuale” (definizione che uso per comodità ma ormai superata), l’archivio assolve alla fondamentale funzione della conservazione, della selezione e dell’accessibilità. Aspetti questi che non risparmiano gli archivi digitali, sebbene, paradossalmente, si possa pensare il contrario.
Inoltre, chi pratica la ricerca e l’indagine storiografica e chi si occupa di archivi e di archivi digitali dell’arte contemporanea nell’era della rete, in particolare, deve confrontarsi con categorie ineludibili, pur se in opposizione, quali quelle di integrità, persistenza e deperibilità.
Spetta, così, ragionare, sul fronte epistemologico, sull’immaterialità dei documenti immessi in rete e, paradossalmente, sulla loro “materialità”, facendo luce sui molti luoghi comuni ampiamente diffusi persino tra gli addetti ai lavori e riproponendo, con urgenza, il problema, noto, della conservazione e dell’aggiornamento continuo del patrimonio culturale e digitale. Una riflessione ineludibile sul fronte dell’archiviazione ancor più in considerazione di quella sorta di autostrade informatiche, ovvero quei tracciati che collegano le informazioni in rete amplificando, dilatando, se non dissolvendo i confini dell’archivio attraverso la navigazione sul web.
WEB E INTERATTIVITÀ
Archivio, infatti, è anche il web, che può considerarsi, oggi, dal punto di vista degli studi, una vera e propria fonte. Ciò significa che alla stratificazione dei materiali visivi, sonori, cartacei, analogici, digitali si aggiunge l’interattività degli utenti. Interattività che scatena una sorta di circolo, un continuo “rumore di fondo”, per ricorrere a una definizione cara agli studi archivistici, che rappresenta la sfida della pratica di archivio e di studio dell’arte contemporanea in questi anni.
Ciò richiede, richiederà, sempre di più, un insieme di competenze diverse che spaziano, come è noto, dall’archivistica alla biblioteconomia, dal restauro all’informatica oltre, naturalmente, alle scienze umanistiche in un confronto tra i saperi avvincente che pone, tuttavia, qualche difficoltà.
TRASCRIZIONI E RISCHI
Se in ambito umanistico si insegue il desiderio di integrità e persistenza dei materiali e delle opere insistendo, pur con le opportune e significative eccezioni, sul valore della perennità, in ambito tecnologico alla durata si oppone, spesso, pena l’obsolescenza, il perenne cambiamento, l’aggiornamento continuo, l’incessante trasmigrazione dei dati che rischia di divenire ‒ per molti aspetti ‒ oggetto principale, e non mezzo, della ricerca e dell’attenzione dello studioso. A riguardo, i documenti digitali, come già era accaduto e come ancora accade con i media analogici quali la fotografia, il nastro magnetico, i dischi in vinile e i film, che hanno creato, ancor più dei media a stampa, nuovi problemi di conservazione, pongono, unitamente all’inevitabile, quanto preziosa, immissione nella rete, continui problemi.
Se l’informatica e il web rappresentano, infatti, ancor più nell’era di internet e delle reti sociali, una destinazione obbligata dei materiali prodotti dal sapere umanistico, innegabilmente ricca di potenzialità e di sfide, comportano, al tempo stesso, proprio per la labilità intrinseca, e nonostante la prevenzione, dei rischi di cui la comunità scientifica deve tener conto.
Al dur désir de durer, per esprimersi con le parole di Paul Éluard, si oppone la necessaria quanto continua trascrizione, l’incessante salvataggio delle informazioni, la perenne trasmigrazione dei dati che dà luogo a una sorta di macchina, di ingranaggio continuo che solo apparentemente si auto-organizza.
‒ Gabriella De Marco
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