Oltre la scultura, oltre la materia. Claudio Cintoli versus Pino Pascali
Nel 50esimo anniversario della morte di Pino Pascali, la Fondazione di Polignano a Mare a lui intitolata ospita un dialogo visivo tra l’artista e Claudio Cintoli. Amici scomparsi a dieci anni di distanza l’uno dall’altro.
“La morte di Cintoli fu drammatica. Lui e Pascali furono gli artisti più interessanti del periodo. Pascali era vicino alla natura, Cintoli più mentale”. Con queste parole Lorenza Trucchi (D. Ferraria, Intervista a Lorenza Trucchi, in Claudio Cintoli. L’immagine è un bisogno di confine, mostra a cura di L. Pratesi e D. Ferraria, Macro, Roma 2012, catalogo Quodlibet, pag. 107) esprime il proprio pensiero rispetto al decesso di due protagonisti della scena artistica italiana, avvenuto a dieci anni di distanza l’uno dall’altro: Pino Pascali (1968) e Claudio Cintoli (1978). Due figure fondamentali, che caratterizzavano con il loro vitalismo il panorama culturale della Capitale nella seconda metà degli Anni Sessanta, uno dei più periodi più fecondi e dinamici della storia recente di Roma, che questa mostra mette giustamente in parallelo, evidenziandone differenze e affinità.
Pascali e Cintoli si erano incontrati presumibilmente nella Roma della Dolce Vita, riassunta in un’immagine iconica: Giardino per Ursula, il pannello a muro dipinto nel 1964 da Claudio Cintoli sulla parete di fondo del Piper, locale simbolo del clima di quegli anni, che aprì i battenti il 17 febbraio 1965. Un’opera che chiude il primo ciclo romano dell’artista, caratterizzato da opere di derivazione informale e neodada, come Sbarramento (1964) o E-sorcismo (1964), dove si respirano echi della ricerca di Alberto Burri, Franz Kline e Kurt Schwitters, conosciuti da Cintoli durante una serie di viaggi in Germania, Belgio e Gran Bretagna. Nel Giardino per Ursula, realizzato tra il dicembre del 1964 e il febbraio dell’anno successivo e forse dedicato all’attrice Ursula Andress, l’artista compie una decisa virata verso un immaginario di matrice pop, già presente in alcuni dipinti realizzati tra il giugno 1964 e il luglio 1965, come Grandaperitivo (1964), Giardino (1964) o Spiagge italiane (1965), accompagnati dalla produzione di collage di piccole dimensioni (Pelargento,1963) già a partire dal 1963.
ASSONANZE E SIMILITUDINI
Un percorso che presenta non poche assonanze con la ricerca di Pino Pascali, arrivato a Roma nel 1956 da Bari, che intorno al 1964 produce collage polimaterici con una spiccata impronta pop, più sintetica e meno narrativa rispetto a Cintoli, come Missile (1964) o Studio (omaggio a Jasper Johns) (1964) o anche Grande Bacino di Donna (Mons Veneris) (1964). Inoltre entrambi gli artisti sono impegnati a realizzare film d’animazione: Pascali per una serie di spot pubblicitari per la Rai, mentre Cintoli realizza due cortometraggi di dieci minuti ognuno per la Corona Cinematografica: Più (1964) e Mezzosogno e mezzo (1965). Il 4 agosto del 1965 Claudio Cintoli parte per New York, dove rimane fino all’estate del 1968, quando torna nella Capitale, dove si trova a dialogare con una scena artistica profondamente mutata, che l’artista analizza attraverso interventi critici su riviste d’arte quali Flash Art, Cartabianca e Qui Arte Contemporanea. Su quest’ultima l’artista pubblica, nel marzo 1969, il testo Per Pascali, scritto il 27 dicembre 1968, tre mesi dopo la scomparsa dell’amico artista, avvenuta l’11 settembre. “Nell’opera di Pascali si assiste a una specie di osmosi reversibile, tra parola e oggetto; anzi tra gioco di parole e gioco di “oggetti”, puntualizza Cintoli (C. Cintoli, Per Pascali, “Qui Arte Contemporanea”, n. 5, Roma, marzo 1969, pag. 22), a testimoniare la profonda vicinanza con l’artista e l’assonanza con il suo pensiero. Il 1968 è l’anno della sua consacrazione: nel marzo inaugura due mostre personali, da Alexander Jolas a Parigi e all’Attico a Roma, mentre a giugno partecipa con una sala personale alla 34. Biennale di Venezia. Un’iper produzione così stigmatizzata da Edoardo Sanguineti: “Pascali era giunto al momento in cui la natura e tutta la storia gli erano disponibili per essere riscritte e appunto pervertite da un secondo Adamo” (E. Sanguineti, Le trasgressioni di Pascali, citato in A. D’Elia, Mito Gioco Arte, in Pino Pascali, a cura di A. D’Elia, Electa, Milano 2010, pag. 35).
Le nuove opere dell’artista, riferibili a un linguaggio definito da Pietro Marino “mito agrario”, intriso di cultura mediterranea e di suggestioni legate alla crisi del modello progressista (P. Marino, Pascali: un pugliese negli anni della crisi, in Pino Pascali, a cura di A. D’Elia, ibidem, pag. 59). Dopo gli animali e i dinosauri, Pascali ritorna alla terra e ai suoi valori primordiali. A opere come Balle di fieno, Ragnatele, Trappola, Bachi da setola Botole o lavori in corso o Ponte, esposte nelle due personali a Parigi e a Roma, si aggiungono a Venezia Pelo, Contropelo o fungo, Le Penne di Esopo, Cesto, Solitario, Ponte Levatoio, Tela di Penelope, Cesto e Liane.
Un ritorno a una civiltà contadina che evoca, come afferma Marino, “un Mito che nasce dentro e non contro la cultura massmediale”, che il critico legge come una sorta di rêverie nostalgica della sua infanzia trascorsa a Bari, “una città poco mitica (…) ma in possesso di una cultura eclettica e concreta” (Ibidem).
UN DIALOGO VIVO
Di queste suggestioni, legate a un’idea di scultura/struttura dov’è presente una sorta di tessitura di materiali umili come la gommapiuma o la lana d’acciaio intrecciata, Pascali parlò con Cintoli: a proposito di Stuoia o Tela di Penelope (1968), disse: “Vedi fra un anno sarà scomparso, polverizzato dall’ossidazione della lana” (L. De Venere, scheda dell’opera Stuoia o tela di Penelope, in Pino Pascali, a cura di A. D’Elia, ibidem, pag. 217). E a queste suggestioni Cintoli risponde con una nuova produzione, quasi in risposta o in omaggio all’amico prematuramente scomparso: la performance Annodare (25 marzo 1969) presso la galleria L’Attico propone una serie di gomitoli di corda di varie dimensioni, che il pubblico può sciogliere e riannodare a proprio piacimento, disposti insieme a un grande pettine in legno, posizionato a poca distanza dalla frase in caratteri cubitali Tutti i nodi vengono al pettine. “Il fare può divenire un lavoro che consiste nello svolgere “azioni” scelte e decontestualizzate, nell’esplorare con libertà di movimenti le forme di cui il corpo umano come materia è capace, o nell’indagare le virtuali possibilità insite nei materiali”, scrive Cintoli (C. Cintoli, tratto da Appunti 1968-69, citato in S. Battiato, Claudio Cintoli. La nascita dell’uomo nuovo 1958-1978, Gangemi, Roma 2017, pag. 75). Opere come i Nodi o i Chiodi fissi, che fanno parte della serie Pesi Morti, costituiscono la diretta conseguenza di questo atteggiamento, determinati da “una simbiosi tra metallo (chiodi) e materiali soffici (corda, tela, sacco)”, puntualizza l’artista (C. Cintoli, appunto tratto dal X Diario, 12 aprile 1971, citato in S. Battiato, Claudio Cintoli…, pag. 103). Il culmine di questa fase di lavoro è la performance Crisalide, avvenuta il 7 dicembre 1972 a palazzo Taverna a Roma, nell’ambito della rassegna Mappa 72, curata da Achille Bonito Oliva per gli Incontri Internazionali d’Arte. L’artista, rinchiuso in un sacco di juta appeso al soffitto con un gancio metallico, viene ripreso da una telecamera fissa mentre cerca di uscirne tagliando la juta con un coltello per una durata di 13 minuti circa. Una sorta di rinascita simbolica da un sacco/utero, che presenta non pochi punti di contatto – non solo formali ‒ con l’opera di Pino Pascali Trappola (1968): una rete in lana d’acciaio dentro la quale l’artista si fa fotografare con le braccia aperte. “Quello che sembra uno dei tanti gesti ludici che l’artista soleva compiere per divertire se stesso e gli amici” ‒ scrive Vittorio Rubiu ‒ può essere interpretato come un indizio del suo volersi incamminare à rebours verso le proprie radici e verso l’infanzia del mondo” (V. Rubiu, Pascali, De Luca, Roma 1976). Oltre la scultura, oltre la materia, verso una nuova dimensione.
‒ Ludovico Pratesi
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