Fluttuante & ancorato (V). Il presente dell’arte contemporanea
Nuova tappa della rubrica di Christian Caliandro. Nel solco tracciato dal poeta irlandese Brendan Kennelly, che affermava: “Se vuoi veramente arrivare lì dove la scrittura vive, scrivi come se fossi morto”.
Sempre più, negli ultimi anni, mi è parso di notare questo fenomeno singolare: persone che pensano e dicono cose “giuste”, e poi nella pratica fanno esattamente l’opposto. Mi spiego meglio. Se un artista, un filosofo, uno scrittore, un intellettuale dichiara in più occasioni di credere profondamente, mettiamo, in uno scenario di trasformazione concreta o nel fatto per esempio che il sistema artistico-culturale-lavorativo-ideologico in cui è calato è completamente sballato, non funziona proprio (neanche in minima parte), e poi nella vita e nella pratica quotidiana ci si adegua in tutta tranquillità, senza fare nulla per modificarlo, con ogni evidenza c’è un problema – che oltrepassa ormai la semplice “ipocrisia”, per accedere direttamente alla psicosi.
Personalmente, credo di avere individuato la natura di questo problema in un automatismo molto pericoloso, tanto più essendo alla base di molti processi contemporanei (la politica, per dire, oggi si fonda quasi per intero su questo assunto), e che può essere così sintetizzato: “Sì lo so, QUESTO è giusto, senza dubbio, sarebbe l’approccio più logico e sensato, e sul medio-termine penso proprio che porterebbe grandi benefici a me come individuo e a me come parte di una comunità. Ma come si fa? Lo vedi anche tu. Non si può, perché poi la realtà spicciola, immediata ti richiede altro, e devo soddisfare altri bisogni, altre richieste, altre priorità; e quindi vedi, sono/siamo come incastrati in una griglia più forte di tutti noi, che ci spinge ad agire in un certo modo. E poi diciamoci la verità, il mio è il vero realismo, è la realtà che è andata in un certo modo, io non posso farci proprio niente, mica è colpa mia, e bisogna quindi adeguarsi a questo cambiamento (esterno), altrimenti si rischia di fare proposte “irrealiste” – oltre che irrealizzabili – e di ricadere nell’idealismo, sai è molto comodo teorizzare ma poi la vita è un’altra cosa, quello mi chiede questo e questo mi chiede quello, io come faccio a ribellarmi e a dire di no, non è pensabile, proprio no, scusa ma io rimango qui dove sono perché mi conviene, magari andate avanti voi che poi (eventualmente) io vengo, eh, facciamo così, che dici? Però ci tengo a dirti che è tutto giusto, tutto bello, tutto buono, sono d’accordo, d’accordissimo, anzi sai che faccio, lo posto subito su FB, mi piace molto sai l’idea e poi riflette quello che ho sempre pensato, davvero, giustissimo, sono molto d’accordo, avete tutto il mio appoggio continuate così c’era proprio bisogno di farsi sentire…”.
Benissimo.
Poi però non vi lamentate perché – questo è sicuro – sarete allora infinitamente più ridicoli e tristi di quanto non siate già ora.
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“Il contemporaneo a cui si guarda ancora oggi è il contemporaneo già ‘storicizzato’ e metabolizzato, mentre il contemporaneo più ‘ostico’ lo si lascia sperimentare a terzi – fondazioni, privati, no profit, associazionismo, eventi” (Cristiana Colli).
Appare chiaro insomma come ci siano in questo momento (e non da oggi) almeno due presenti: il presente-presente, e il presente dell’arte contemporanea. Che scorrono paralleli, ma che non si toccano – mai; ancora. Il che, se ci pensate, è abbastanza agghiacciante.
La dissociazione consiste nell’usare le parole d’ordine concordate e condivise – quelle su cui tutti o quasi non possono fare a meno di essere d’accordo – accoglienza comunità inclusione partecipazione, per esempio – e nel fare concretamente poi l’esatto contrario. Non scorgendo alcun problema in questa discrepanza.
Nel considerare perfettamente naturale, e ovvio, il BIPENSIERO (consequenziale quando è l’opposto della consequenzialità) – la distanza tra ciò che si dichiara e ciò che si è, la mancata aderenza tra propositi fumosi e risultati oggettivi. E non per una forma di falsità consapevole, ma proprio perché si è smesso di riconoscere la contraddizione in quanto tale, di riconoscerle cioè valore e senso, perché non si è proprio più in grado di vedere la separazione totale tra le aspirazioni e la realtà.
Saskia Sassen spiega bene questo processo, quando afferma: “(La politica) da un lato ha concesso un enorme grado di autonomia alle organizzazioni più potenti, dall’altro risente dell’impreparazione di legislatori che, di fronte alla complessità di ambiti come la finanza e le telecomunicazioni, preferiscono lasciar fare agli ‘esperti’ che – naturalmente – sono coloro che già operano in questi settori” (Giuliano Aluffi, Saskia Sassen: ‘I giovani faranno la storia’, “la Repubblica”, 6 novembre 2016, p. 35). Esperti che sono emissari dell’Estrazione, della sua logica e del suo funzionamento: “(La logica) dell’estrazione (…) si è imposta su modalità di scambio meno a senso unico, come il commercio. Un esempio è lo spodestamento delle banche da parte della finanza. Le banche vendono denaro che possiedono, in cambio di un interesse. La finanza invece vende qualcosa che non possiede: ecco perché deve invadere famelicamente ogni altro ambito ed estrarre valore ovunque possibile” (ibidem).
Ogni altro ambito – comprese ovviamente la cultura e l’arte.
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E quindi, su nell’aula al terzo piano durante gli esami di storia dell’arte moderna può anche capitare improvvisamente di commuoverti, proprio così, perché una studentessa cinese superando il problema della lingua e della traduzione ti spiega Masaccio e l’origine del Rinascimento agganciando di fatto l’origine dell’identità artistica italiana – tu vedi e senti lo scintillio dell’intelligenza, della comprensione, e capisci che non si tratta più a questo punto di identità italiana ma di un patrimonio umano, universale posseduto da chi lo raggiunge. Un patrimonio di forme di equilibri di sentimenti comuni e condivisi.
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Se il punto è la connessione, la rete (l’“infrastruttura di relazioni”) che è l’opera contemporanea, allora la scrittura deve seguire lo stesso metodo: deve farsi essa stessa rete di connessioni, infrastruttura di relazioni – “autobiografia di tutti”, e non solo tua, in grado a sua volta di individuare e intercettare una disposizione d’animo.
‒ Christian Caliandro
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