Allora & Calzadilla. Dal Porto Rico a Roma
Parola a Guillermo Calzadilla, protagonista, insieme alla compagna Jennifer Allora, della mostra allestita al Maxxi di Roma. Fra arte e politica.
In occasione della mostra Blackout di Allora & Calzadilla al Maxxi di Roma, Ludovico Pratesi ha incontrato Guillermo Calzadilla (L’Avana, 1971) per farsi raccontare il backstage del progetto romano, incentrato sulla situazione dell’isola di Porto Rico. Stato paradossale o vera e propria colonia?
Com’è iniziato il progetto?
Un anno fa Hou Hanru ci ha proposto una personale al Maxxi e da allora Porto Rico ha vissuto una convergenza di catastrofi economiche, ecologiche e politiche. La nostra mostra è una sorta di risposta a questa situazione tragica.
Avete pensato alla mostra prendendo in considerazione lo spazio della galleria 5 del Maxxi?
Sì, la sala ha delle caratteristiche interessanti, come il pavimento inclinato e la grande vetrata. Abbiamo pensato a un progetto che riunisse una serie di opere per raccontare una storia che si sviluppa come un percorso nello spazio, ripensato per l’occasione.
Qual è il filo conduttore della mostra?
Principalmente il rapporto tra l’ecologia e il suono, senza dimenticare la politica. Il primo lavoro che apre l’esposizione, Returning a sound, mi sembra un buon esempio di queste intersezioni. Si tratta di un video che mostra un ragazzo su una motocicletta con una tromba applicata alla marmitta. L’abbiamo realizzato nel 2003, ed è stato il primo esempio della presenza del suono come protagonista del nostro lavoro.
Qual è il significato di questo suono?
Si riferisce alle bombe che hanno trasformato il territorio dell’isola dove è stato girato il video, l’isola di Vieques che fa parte dello stato di Porto Rico, utilizzata dall’esercito americano dal 1941 al 2003 per bombardamenti ed esperimenti bellici, a dispetto della popolazione che vi abita.
L’esercito americano occupa ancora l’isola?
No, l’isola è stata liberata dai militari nel 2003 ma mai decontaminata, in quanto poi dichiarata parco naturale. Durante il periodo degli esperimenti militari alla popolazione autoctona era impedito di praticare l’agricoltura e la pesca, dunque gli abitanti di Vieques si considerano a tutt’oggi un popolo in via di estinzione. In effetti hanno il tasso di malati di cancro più alto di Porto Rico, proprio a causa dell’eccessiva esposizione a materiali bellici tossici.
A Vieques avete dedicato un altro video?
Sì, è intitolato Under Discussions (2006) e mostra un ragazzo isolano che guida un’imbarcazione realizzata con un tavolo, utilizzato normalmente per le conferenze politiche, al quale è stato applicato un motore fuoribordo.
Quindi questi due video sono il centro e il punto di partenza della vostra ricerca?
Esatto. In mostra ci sono anche opere più recenti come Blackout (2017), ispirata al blackout elettrico che ci fu nel 2016 a Porto Rico. Si tratta di un trasformatore collegato all’impianto del museo ed è abbinato a mains hum (2017), una composizione musicale di David Lang per sette cantanti che usano la voce come una forma di energia. Quando il trasformatore viene collegato emette un suono che si unisce a quello dei performer per eseguire il brano musicale, che è stato scritto per otto voci.
Due opere sono dedicate al paesaggio di Vieques…
Si tratta di Contract AOCL (2014) e Contract (SWMU 4 -2): serigrafie su tela con una serie di palme che non sono autoctone ma portate sull’isola dagli americani, che le piantavano per indicare i luoghi dove venivano depositati i materiali tossici. Le striature nere stanno a indicare il passaggio di una stampante, come se si trattasse di veri e propri contratti.
Avete concepito la mostra come una sorta di paesaggio sonoro?
In un certo senso sì: un paesaggio sofferente, marchiato da debito pubblico, disastri ambientali, colonialismo e altre tragedie.
Qual è l’opera che viene presentata al Maxxi per la prima volta?
Si intitola The Night We Became People Again (2017) ed è un video che abbiamo girato in parte nella grotta Cueva Vientos, dove nel 2015 avevamo realizzato l’opera Puerto Rican Light.
Di cosa si trattava?
La Dia Foundation ci ha prestato l’opera di Dan Flavin Puerto Rican Light, realizzata nel 1965 e in collezione della Dia Foundation. L’abbiamo portata a Porto Rico per la prima volta e illuminata con pannelli solari all’interno della caverna, che per le popolazioni indigene è un luogo sacro e magico.
E invece il video che avete presentato qui?
Prende il nome dall’omonimo racconto scritto nel 1965 dallo scrittore portoricano José Luis Gonzàles a New York durante un blackout. L’abbiamo girato in altri due luoghi oltre alla grotta: un impianto petrolchimico abbandonato e una piantagione di canna da zucchero. L’altro elemento importante è il suono, composto da David Lang, con una voce che recita parti del racconto dove le vocali delle parole manifestano una qualità elettrica, in modo da trasformarle in una sorta di lingua antichissima o in un idioma del futuro.
Qual è il messaggio di questo lavoro?
È un lavoro sulla memoria del popolo di Porto Rico.
Qual è esattamente lo status politico di Porto Rico?
È uno Stato libero ma associato, ma in realtà non è né libero né associato. Per spiegare questo paradosso c’è una storia molto interessante: in Porto Rico cercano di esportare arance negli Stati Uniti, e quando entrano nel porto americano vengono imposte delle tasse internazionali. Allora il portoricano spiega che Porto Rico è associato con gli Stati Uniti, e il doganiere risponde che si tratta di un Paese straniero di tipo domestico. Questo paradosso va avanti dal 1898, e ha determinato il fatto che Porto Rico possiede oggi una sovranità ferita, perché in realtà si tratta di una vera e propria colonia.
Vivete a Porto Rico?
Sì, viviamo e lavoriamo a Porto Rico, dove io abito dal 1978, quando i miei genitori si sono trasferiti da Cuba, dove sono nato nel 1971. La mia compagna Jennifer Allora è americana di Philadelphia. Ci siamo conosciuti a Firenze nel 1995: io studiavo musica e lei ecologia.
Lavorate con l’aiuto di assistenti?
Adesso no, preferiamo lavorare da soli, per avere il tempo di leggere e riflettere con calma. In passato abbiamo avuto molti assistenti, ma ora vogliamo essere più concentrati sul nostro lavoro.
‒ Ludovico Pratesi
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #9
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