Tra pittura e filosofia. Manuele Cerutti a Torino
Narra Empedocle che all’origine del mondo, quando ancora non esistevano i corpi, membra sparse vagavano senza scopo sulla Terra. Da questo scenario attinge il soggetto della grande tela Motus naturalis, frutto del lavoro di due anni, che il torinese Manuele Cerutti (1976) presenta in questa sua prima mostra personale da Guido Costa Projects. Cimentandosi con […]
Narra Empedocle che all’origine del mondo, quando ancora non esistevano i corpi, membra sparse vagavano senza scopo sulla Terra. Da questo scenario attinge il soggetto della grande tela Motus naturalis, frutto del lavoro di due anni, che il torinese Manuele Cerutti (1976) presenta in questa sua prima mostra personale da Guido Costa Projects.
Cimentandosi con un formato per lui inconsueto, che dilata lo spazio rappresentato finché quasi non combaci con quello reale, Cerutti stratifica la superficie della pittura nella profondità di riferimenti e significati. Inevitabile pensare a certi rimandi classici – i frammenti anatomici di Gericault? O i piedi sporchi dei pellegrini di Caravaggio – come pure a un’aura sospesa tra metafisica e anacronismo. Completano la mostra alcuni dipinti di piccolo formato: è in questi studi, frammenti di visione poi ricomposti nella grande tela, che si coglie l’attitudine “morandiana” tipica della sua pittura. Pietre, pezzi di metallo, ossa: oggetti che si mostrano e, nell’incontrare il nostro sguardo, ci definiscono. Se Empedocle sosteneva che la conoscenza potesse fondarsi su una sostanziale omogeneità tra l’uomo e le cose, in tempi più recenti Francis Ponge ha scelto di “passare dalla parte degli oggetti”. A tale parola poetica, che incontra le cose senza asservirle, sembra lecito accostare la pittura di Cerutti.
‒ Emanuela Termine
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