Paradisi perduti. Timea Anita Oravecz a Roma
Una serie di lavori sviluppati a seguito di un viaggio in Colombia. Riflessioni che si collegano al tema della caduta dell’uomo, celebrata da Milton nel 1667 (in Paradise Lost), che purtroppo in Colombia ha provocato una feroce guerra civile figlia di una rete molto complessa di schieramenti e alleanze. Un Paese oggi in ripresa, sebbene […]
Una serie di lavori sviluppati a seguito di un viaggio in Colombia. Riflessioni che si collegano al tema della caduta dell’uomo, celebrata da Milton nel 1667 (in Paradise Lost), che purtroppo in Colombia ha provocato una feroce guerra civile figlia di una rete molto complessa di schieramenti e alleanze. Un Paese oggi in ripresa, sebbene ancora tormentato da violenza e povertà; così come si evince nei tre video intervista presentati in mostra. Una mappa realizzata con sangue e caffè in cui le città principali sono riprodotte come foglie. Due installazioni. Una scala di legno che conduce a una finestra per svelare la bellezza dei paesaggi colombiani, un simbolo di comunicazione, di risalita ma anche un collegamento sciamanico, come nella visione del mondo dell’antica cultura ungherese. Insieme alla finestra diventa una porta d’accesso o di fuga. Timea Anita Oravecz (Budapest, 1975; vive a Berlino) ha vissuto a pieno gli anni del socialismo e li riflette nella sua poetica, un termine di confronto necessario per raccontare i processi economici e culturali dei diversi contesti geo-politici che esamina. Questa necessità di integrazione l’accompagna da sempre nella vita e nell’arte.
‒ Michele Luca Nero
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