Osservatorio curatori. Bite the Saurus
A breve distanza dal loro debutto presso Riot Studio, abbiamo chiesto a Bite the Saurus, composto da Dalia Maini (Napoli, 1992) e Vincenzo Di Marino (Aversa, 1993) di raccontarci le peculiarità del loro progetto curatoriale. I propositi sono quelli di operare dentro interstizi autonomi, nel tentativo di dare maggior spazio alla produzione artistica. In un processo di continuo raffronto e condivisione con gli artisti coinvolti.
Vorremmo presentarci con un’illustrazione del 1854, Cena nella ricostruzione dell’iguanodonte, realizzata dallo scultore e naturalista Benjamin Waterhouse Hawkins. Raffigura un modello in costruzione, a presunta grandezza naturale, di Iguanodonte, nel cui ventre, ancora in fase di realizzazione, una schiera di gentiluomini gozzoviglia intorno a un tavolo imbandito. La rappresentazione sembra descrivere la classe dei nuovi professionisti moderni, i dirigenti, che si compiacciono di quanto sono riusciti a ricostruire. Il dinosauro, pensato come ossessione di quella generazione, rappresenta, a detta di W.J.T. Mitchell, “la dialettica di fondo della modernità, arcaica e superata”.
Fondendo quest’immagine con la metafora di Frie Leysen sulle istituzioni artistiche, “dinosauri dal corpo massiccio e la testa piccola, quindi poco agili nei movimenti”, è nato nel 2017 a Napoli, dalla congiunzione di intenti di Dalia Maini e Vincenzo Di Marino, il progetto di ricerca curatoriale Bite the Saurus. Stravolgendo il senso dell’illustrazione ottocentesca, cerchiamo un posizionamento interno alle istituzioni, come innesto e come sguardo altro, attento ai microcambiamenti del panorama artistico contemporaneo e delle narrazioni che ne costituiscono il fertile sottosuolo. Il progetto volge lo sguardo alla contraddittoria realtà artistica partenopea, luogo dalla fervente produzione alternativa di strategie di vita e di economia informale, dove non riesce a emergere un’altrettanto significativa proposta artistica indipendente. L’intento di Bite the Saurus è quindi quello di ritagliare una piattaforma in cui artisti di diverse generazioni e provenienze possano avere uno “spazio” di movimento più autonomo, di costante autorigenerazione e sperimentazione.
DICHIARAZIONI DI INTENTI
“Mordere” è una vera e propria dichiarazione d’intenti, attraverso cui relazionarsi a quanto già esistente nel panorama per contaminarlo. La porzione di dinosauro/istituzione addentata e poi asportata è quella in cui il progetto si inserisce senza stravolgere l’organismo attaccato, ma ibridandolo. Il parassitismo della nuova intersezione istituzionale è lo spazio di manovra in cui muoversi, è un innesto tra ciò che fuori ha già vita e che prolifera all’interno di luoghi non estranei al substrato culturale cittadino. Il collegamento, il nuovo confine, il limite sono segni produttrici di libero pensiero, in cui concettualmente il progetto si pone come cordone cicatriziale che si affaccia su ideologie molteplici e approcci divergenti.
Bite the Saurus rappresenta la necessità di una relazione dialogica che si orienta all’interno di un pensiero e di una curatela legata al contatto diretto ed esplorativo. Lavorare “gomito a gomito” consente ad artista e curatore di generare un flusso continuo di negoziazioni sottoposte a revisioni critiche di un doppio sguardo, nel tentativo di ridefinire una processualità lavorativa sempre più sottomessa al dettame dell’individualità. Un tentativo di attivare una differente forma di confronto fra “soggetti” e “oggetti” tra loro estremamente diversi.
LA MOSTRA
Un esempio è la prima mostra che si è conclusa lo scorso 8 febbraio all’interno dello Spazio Riot di Napoli, in cui abbiamo messo in scena un nuovo approccio non solo teorico, ma anche estetico. The other other, familiar other, personale di Luca Staccioli, si è posta così come momento di riflessione non solo sulla ricerca individuale dell’artista, ma anche, attraverso il display teatrale, di una nuova messa in relazione di diversi progetti con il pubblico. Il fine è cercare di aprire alle differenti modalità di fruizione di una mostra, ad esempio attraverso un apparato cartaceo contenente contributi di diverso respiro che accompagnerà ogni formato espositivo.
‒ Dario Moalli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #42
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