La cosmologia di Matt Mullican. A Milano
HangarBicocca ospita il lavoro del californiano Matt Mullican, protagonista di un mostra ossessiva. Con circa 6mila opere tra cui perdersi.
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Come muoversi all’interno di un monumentale campo da tennis o districarsi in un ipertrofico Second Life, lungo una superficie di 5mila metri quadrati: The Feeling of the Things è una retrospettiva kolossal, la più grande mai realizzata su Matt Mullican (Santa Monica, 1951), che occupa le Navate e il Cubo di Pirelli HangarBicocca, a cura di Roberta Tenconi.
Mullican sviluppa The M.I.T. Project – già concepito negli Anni Novanta in occasione di una personale al Massachusetts Institute of Technology –, in un allestimento enciclopedico che articola in una dialettica tra perdita e definizione di un metodo di sistematizzazione dei noumeni e fenomeni. L’archeologia industriale di HangarBicocca, diffusamente illuminata, si configura come il corpo di una gigantesca balena da percorrere attraverso una tassonomia delle sue opere più iconiche, dall’inizio degli Anni Settanta a oggi.
Pioniere dell’utilizzo dell’ipnosi come pratica performativa nell’arte contemporanea, in oltre quarant’anni di carriera artistica, ha sviluppato una cosmologia, visiva e concettuale, che riassume nel diktat “I love to work for truth and beauty”, di cui autore è That Person, ovvero l’alter Ego, senza età e senza sesso, di Matt Mullican che opera in stato di trance ipnotica.
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Matt Mullican, 5 Worlds 12 Benches, 2013. Installation view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2018. Courtesy of the artist, Mai 36 Galerie, Zurigo e Pirelli HangarBicocca, Milan. Photo Agostino Osio
UMANISTA CONTEMPORANEO
The Feeling of the Things ha tutto il sapore di una personale Wunderkammer, dove Mullican, umanista contemporaneo, colleziona, seleziona, ammonticchia e cataloga su bulletinboards oltre seimila oggetti tra opere provenienti dai musei di Storia Naturale e della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, fra ready-made e produzioni site specific, insieme a disegni, light-box, video, rubbing, sculture e grandi installazioni.
A far da cartina da tornasole è Untitled (1990), all’ingresso della mostra, nella Piazza di HangarBicocca: opera commissionata per gli spazi di Le Magasin a Grenoble, consiste in quattro stendardi in cui Mullican sciorina il suo vocabolario-legenda dei “Cinque Mondi”. A ogni colore-significante corrisponde un significato: verde per gli elementi fisici e materici; blu per la trivialità quotidiana e cittadina; giallo per la scienza, l’arte e la cultura; bianco-nero per il linguaggio, i simboli e la comunicazione; rosso per la psiche e la soggettività delle idee.
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Matt Mullican, Light Patterns, 1972 (particolare). Exhibition copy. Courtesy of the artist e Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
UN ALL OVER SELVAGGIO
The Feeling of the Things tradisce due verità fondamentali: la prima, autobiografica, affonda le origini nella tradizione collezionistica di oggetti di arte tribale e oceanica della famiglia; Matt è figlio della pittrice surrealista venezuelana Luchita Hurtado e dell’artista americano Lee Mullican. La seconda, universale, conferma che l’artista è un uomo abitato da un’ossessione. Come racconta Dallas Project, la babelica installazione di oltre quattrocento fogli in bianco e nero dipinti tramite sfregamento su superfici in rilievo, Rubbings, che Mullican dipana lungo la superficie del Cubo nel colosso industriale meneghino, in un all over selvaggio e bulimico.
‒ Giusi Affronti
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