Il caso Donazzan-Farronato. Polemiche a sfondo ‘gender’ per il curatore del Padiglione Italia
Che Padiglione Italia sarà quello di Milovan Farronato? Quanto sarà diverso dal contro-padiglione allestito a Cà Pesaro nel 2009? Che artisti vedremo? È l’unica cosa di cui ha senso discutere, ora e nei prossimi mesi. Peccato che qualche politico si metta a fare il bullo, criticando scelte private, orientamenti, gusti personali.
Milovan Farronato è il curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2019. Di fatto la prima nomina ufficiale siglata dal governo Conte. Un bizzarro segnale contrario, nella totale inconsistenza del capitolo Cultura, dentro al famoso “contratto” giallo-verde, a cui si somma l’imbarazzante ‘nulla’ dei primi interventi in aula del Premier, in fatto di beni culturali, ricerca universitaria e dintorni. E invece, così va: il Governo si insedia e i tempi per le nomine del Padiglione non ci sono già più. Tra meno di un anno l’opening in Laguna, con artisti e commissari degli altri Paesi più o meno tutti ai posti di comando.
Il neo Ministro Alberto Bonisoli si è trovato di fronte a fatto compiuto, o quasi: il percorso di selezione era iniziato tempo fa, coi dieci curatori a cui la Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanea e Periferie Urbane aveva chiesto di presentare un progetto; stando alle notizie diffuse dall’ANSA i tre nomi giunti in finale erano quelli di Andrea Bellini, Luigi Fassi e, per l’appunto, Farronato. L’ultima parola al Ministro – ex direttore della NABA di Milano – che ha consegnato lo scettro proprio a una figura fortemente radicata nel sistema dell’arte contemporanea milanese.
MILOVAN FARRONATO IN BREVE
Un plauso da Angela Vettese, tra le migliori intelligenze italiane al servizio delle arti visive e della formazione accademica: per lei nessun dubbio, Farronato – che volle con sé alla Fondazione Bevilacqua La Masa – “è un ottimo curatore, molto professionale, grande conoscitore del mondo emergente dell’arte, finalmente una nomina non politica”. Parole di incoraggiamento anche da Luca Beatrice, che il Padiglione lo curò nel 2009 insieme a Beatrice Buscaroli, mentre Vittorio Sgarbi, che quel ruolo lo ricoprì nel 2011, le polemiche le afferra al volo: “Certo è una curiosa coincidenza che un ministro di un esecutivo dove c’è anche Lorenzo Fontana si trovi a ratificare una nomina così”.
Ed ecco la nota triste, fuori posto, squallida, a cui Sgarbi – soffiando sul fuoco ed evidenziando certe contraddizioni – fa in qualche modo riferimento. Si tratta della dichiarazione lanciata sui social da Elena Donazzan, assessore all’Istruzione, formazione, lavoro e pari opportunità della Regione Veneto, in quota Forza Italia.
Impossibile, per la signora, tenere a bada il turbamento dinanzi alla nomina di Farronato. E no, non è il suo curriculum – di tutto rispetto – ad averla contrariata. Non il taglio dei suoi progetti curatoriali, pensati per prestigiosi spazi pubblici e privati, dalla Galleria Civica di Modena alla Fondazione Pomodoro di Milano, dall’Arario Foundation (Seoul/Bejing/New York) alle Serpentine Galleries, dalla Biennale di Istanbul alla Triennale di Milano; non gli artisti con cui ha lavorato negli anni, da Ugo Rondinone a Katharina Fritsch, da Lucy McKenzie a Yayoi Kusama, da Sissi a Roberto Cuoghi, solo per citarne alcuni; non la lunga esperienza di direttore artistico presso l’archivio di Via Farini, punto di riferimento importante per le nuove generazioni; non le residenze estive, tra party, performance, proiezioni e installazioni, organizzate per Fiorucci Art Trust a Stromboli; non i contenuti dei suoi corsi allo IUAV, dove ha insegnato Cultura Visiva tra il 2008 e il 2015; non la mostra allestita a Cà Pesaro, proprio durante la Biennale del 2009, con una squadra di artisti lontanissimi dalla linea curatoriale di Beatrice & Beatrice, piazzati dall’allora Ministro Bondi alla guida del Padiglione Italia: un evento di protesta, un’affermazione identitaria, un fortino intitolato alla “differenza”, da parte di un esponente del mainstream più di tendenza, contro chi sceglieva una approccio più conservatore.
L’USCITA PATETICA DELL’ASSESSORE DONAZZAN
Niente di tutto questo ha destato l’interesse dell’assessora veneziana. Donazzan, inorridita, si è occupata dei gusti sessuali e degli outfit di Farronato. E meno male che ha una delega alle “pari opportunità”. Vale la pena esaminarlo tutto, il suo post (corredato da eloquenti fotografie):
Lei, pardon lui, è #MilovanFarronato: ieri è stato nominato dal Ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli alla guida del Padiglione Italia alla Biennale d’Arte di Venezia 2019. Sì, avete capito bene. Lui è stato chiamato a rappresentare l’Italia alla Biennale d’Arte veneziana del prossimo anno: non al Carnevale di Venezia quindi, ma all’appuntamento culturale più importante per il Veneto e l’Italia tutta, lui sarà il nostro biglietto da visita verso le migliaia di visitatori internazionali che parteciperanno alla Biennale. Le foto tratte dal suo profilo Instagram (-> instagram.com/milovanfarronato) si commentano da sole: sia chiaro, ciò che fa nel privato non mi interessa. Ma posso dire che quando si deve rappresentare una Nazione servirebbe essere quanto meno… più autorevoli?
Non so voi, ma io non ho parole!
Pare incredibile, eppure è quello che ci è toccato leggere sulla pagina istituzionale di un assessore. Colei che anche di cultura e istruzione si occupa, sul territorio della Biennale, e che a un professionista appena individuato da una commissione ministeriale avrebbe dovuto porgere parole di cortesia e di fiducia, congratulandosi e augurando buon lavoro. Stop. Così vorrebbe almeno l’ormai vetusta educazione istituzionale, caduta in disuso in tempi di populismo villano.
Ma Donazzan non ce la fa. Dinanzi ai rossetti, alle lunghe chiome, agli outfit femminili e all’attitudine eccentrica del neo curatore, un po’ queer, un po’ dandy e un po’ glam rock, il suo senso morale ne è uscito offeso. Ferito. E con quell’orribile “Lei, pardon lui” si è così piazzata davanti al Ministro Fontana nella classifica delle recenti uscite a sfondo omofobo: non era facile superare le posizioni retrive dello zelante catto-leghista, oggi a capo del Ministero della famiglia (sic!).
PERICOLO GENDER
Lei, pardon lui. Il carnevale. Instagram. L’identità di genere. Il decoro. Gli abiti da donna. Tutta qui la trasgressione: qualche scatto festaiolo, un po’ di trucco, uno chignon, un paio di ballerine con paillettes, i lunghi vestiti. Che scandalo. Così, mentre a Londra un artista geniale come Grayson Perry – maschio, padre e marito, simbolo di un travestitismo e di una ambiguità divenuti territorio di indagine intellettuale – viene celebrato come una star, accolto dalla famiglia reale e adorato dal sindaco progressista Sadiq Khan… In Italia un amministratore pubblico trova il tempo per mettere alla berlina sui social un professionista dell’arte, in virtù del suo look o delle sue preferenze sessuali. Bullismo & potere, nel cuore di un’italietta che odora di provincia, di bar sport e di parrocchia, nel senso peggiore dell’espressione.
L’assessora, del resto, si era già fatta notare di recente per le sue esternazioni perbeniste sul giovane Young Signorino, fenomeno di massa apparso sul mercato pseudo musicale, privo di qualunque talento ma capace – nella sua follia e per i suoi numeri sui social – di attirare l’attenzione di massmediologi, critici, sociologici, intellettuali. Per Donazzan un personaggio pericoloso, che, col suo singolo “Dolce droga”, andava estromesso dall’AMA Musica festival di Bassano del Grappa. “O l’amministrazione comunale prende posizione netta di distanza e condanna nei confronti di questo messaggio altamente diseducativo”, aveva detto, “oppure rischia di apparire ipocrita nelle iniziative legate alla prevenzione dell’uso di droghe che, almeno a parole, considerano dannose”.
Alla fine l’esibizione di Signorino è stata cancellata. Pericolo stupefacenti scampato. E il pericolo Gender? La battaglia continua: stavolta il nemico si chiama Milovan. Niente tatuaggi sulla faccia, jeans destrutturati e gorgheggi primordiali, ma in quanto a rimmel e rossetto c’è da aver paura. L’assessora lo sa.
LA POLITICA E IL DIBATTITO CULTURALE
Farronato come Signorino? È il mondo a una dimensione: moralismo e ideologia appiattiscono ogni cosa nel segno del facile disgusto. Facile come il consenso che arriva, prima in rete poi in cabina elettorale. Ora, se il neo curatore porterà davvero un po’ di “verve” tra gli spazi espositivi del Giardino delle Vergini, come ha elegantemente dichiarato Luca Beatrice, è tutto da capire. Se il suo sarà un progetto originale, trasgressivo, à la page, e insieme capace di avanzare una proposta culturale significativa, lo sapremo fra un anno esatto. E così verificheremo se, al contrario, la questione si ridurrà al solito glamour da salotto borghese, a certe passerelle modaiole, costruite secondo formule oramai di maniera. La sfida, adesso, ha un nome e un cognome. Che a noi incuriosisce parecchio, con tutto il mix di stravaganza, nostalgie punk, genderismi e intellettualismi contemporanei. E ci piace ancora di più dinanzi all’ottusa crociata moralizzatrice di chi pensa di esorcizzare il diavolo, riconosciuto in una canzone trap o in un armadio griffato.
Il dibattito sugli artisti che presto saranno annunciati, sul titolo del progetto, sul taglio che immagineremo, sulle intenzioni che scorgeremo, sarà ancora una volta un fatto sano. L’unico antidoto a chi, la discussione sui linguaggi e i contenuti, la sacrifica nel nome del gossip più scemo. Peccato che sia di nuovo la politica a mostrarsi inadeguata, disorientata. Mediocre. La stessa politica che confonde l’arte del governo con l’eterna campagna elettorale: destinata a esaurirsi, prima o poi, insieme al consenso raccattato al supermarket dell’indignazione.
– Helga Marsala
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