Tempo e materia. Alicja Kwade a Roma
Fondazione Giuliani, Roma ‒ fino al 20 luglio 2018. L’artista di origine polacca approda nella Capitale con una mostra che riflette sul senso della materia. Ponendo in luce una ricerca sfaccettata e promettente.
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“Sto cercando di capire cos’è per me la realtà e cosa sia per tutti noi”. Questa frase può essere considerata come una delle possibili chiavi di lettura della ricerca di Alicja Kwade, l’artista tedesca di origine polacca protagonista di una mostra esemplare presso la Fondazione Giuliani. Alicja, nata nel 1979 in Polonia, vive e lavora da molti anni a Berlino, e fa parte di quegli artisti che hanno rivolto il proprio lavoro all’interno del linguaggio della scultura e dei suoi materiali sulla linea di Luciano Fabro, Richard Serra, Eva Hesse e Giovanni Anselmo, tanto per citare i possibili “maestri” della Kwade. Poco nota al pubblico italiano fino a un anno fa, Alicja ha fatto un esordio trionfale nel nostro Paese con l’installazione WeltenLinie alla 57esima Biennale di Venezia per poi partecipare alla mostra Liaisons a Villa Medici insieme a Lara Favaretto e Latifa Echkach.
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Alicja Kwade, Materia, per ora (Ein Hocker ist ein Bild), 2017. Installation view at Fondazione Giuliani, Roma 2018. Photo di Giorgio Benni
CORPI E DISINTEGRAZIONE
Con uno straordinario tempismo la Fondazione Giuliani le dedica adesso Materia, per ora, un’impeccabile rassegna che riunisce quindici opere, a cominciare da Etwas Abwesendes, dessen Anwesenheit erwartet wurde (2015), l’installazione emblematica dell’intera mostra.
Si tratta di una sorta di sequenza cinematografica che indica la dissoluzione di alcuni blocchi di marmo bianco ‒ definiti dall’artista come “corpi” perché hanno le dimensioni di una persona media ‒, i quali subiscono una riduzione di un ottavo del loro peso fino a ridursi a un granello di polvere. Collocata di fronte all’ingresso, l’opera suggerisce una visione frontale, che permette la visione a ritroso dell’intero processo, per comporre una sorta di candido paesaggio, che ricorda da vicino Das Eismeer (1824), capolavoro di Caspar David Friedrich. Sempre all’idea della disintegrazione sono ispirati Lampe, Radio e Kaminhur (2017): un gruppo di barattoli contiene gli elementi chimici di una lampada, una radio e un orologio polverizzati, per comporre una narrativa dell’assenza, in grado di alterare la nostra percezione del quotidiano. Un principio che governa anche 1518 leere Liter bis zum Anfang (2008-2018): un mucchio di frammenti di plastica dai toni azzurrognoli che corrisponde alle bottiglie di acqua minerale Selters (tappi compresi) consumate nell’arco di un anno dallo staff della galleria Konig di Berlino.
Una promettente e lodevole linea radicale all’interno della sfaccettata produzione della Kwade, incentrata sul rapporto tra lo scorrere del tempo e la trasformazione della materia.
‒ Ludovico Pratesi
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