Siete ospiti. Glenn Ligon a Napoli
Thomas Dane Gallery, Napoli ‒ fino al 28 luglio 2018. L’artista americano porta nella galleria partenopea una riflessione sul concetto, delicato e attuale, di appartenenza.
“Siete ospiti”: la scritta al neon campeggia sopra uno dei camini della galleria Thomas Dane a Napoli, che occupa l’appartamento al piano nobile di Villa Ruffo, dove risiedeva la famiglia di Benedetto Croce. È un’opera di Glenn Ligon (New York, 1960), al quale la galleria ha dedicato una personale ‒ la prima in Italia ‒ che prende il nome da un verso di Pier Paolo Pasolini, “Tutto Poteva, nella Poesia, Avere una Soluzione”: un’occasione per Ligon di presentare un gruppo di lavori nuovi, tra i quali appunto Untitled (Siete Ospiti), 2018.
“La frase è ripresa dallo striscione esposto da un tifoso napoletano durante una partita di calcio a Bologna, dove il Napoli giocava contro il Bologna, per indicare il fatto che Napoli accoglie chiunque, è una città aperta agli altri popoli”, spiega l’artista in un’intervista con Stephen Andrews. È ancora così, dopo l’episodio dell’Aquarius? Gli italiani sono ancora così ospitali? “Con quest’opera volevo parlare di chi è nel proprio luogo di appartenenza e di chi è ospite”, aggiunge Ligon.
NEON E SCRITTURA
Il secondo neon, Notes for a Poem on the Third World (chapter one), presentato sulla parete centrale di un’altra sala della galleria, raffigura le sagome di due mani tese, tracciate con il neon bianco dipinto di nero, ed è ispirata a un saggio di Pasolini, Appunti per un poema sul Terzo Mondo (1968), dal quale intendeva trarre un film sugli oppressi in India, Africa, Sudamerica e nei quartieri neri degli Stati Uniti.
“Le mani alzate indicano un atto di resa, ma anche di protesta, ed è il primo capitolo di un progetto che traduce questo testo con gesti simbolici”, sottolinea l’artista. La mostra prosegue con una serie di opere legate alla scrittura, che occupa una posizione predominante nella produzione recente di Glenn Ligon. Tra le più emblematiche e significative Stranger #88, 2018, ispirata al saggio di James Baldwin Stranger in the Village, dove viene descritto il concetto di razza, che l’artista esprime scrivendo un brano tratto dal testo con olio e carboncino su tela, fino a trasformarlo in un monocromo denso di materia.
“Con quest’opera” ‒ spiega Glenn ‒ “ho voluto esprimere la difficoltà di rendere leggibile qualcosa che è difficile spiegare come la blackness, l’essere neri”. L’oscurità del testo di Baldwin si trasforma nell’opera di Ligon in un’impenetrabilità concettuale e fisica attraverso un interessante passaggio simbolico, una lucida metafora che nutre il pensiero dell’artista, teso alla trasformazione della scrittura in un codice visivo ed etico rivolto a un’astrazione significante e metaforica.
‒ Ludovico Pratesi
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