Le ferite della rinascita. Emilia Faro a Torino
Davide Paludetto artecontemporanea, Torino ‒ fino al 21 luglio 2018. Continuano le esposizioni della Project Room di Davide Paludetto artecontemporanea, che questa volta ospita le sculture e i disegni di Emilia Faro e che propone una lettura interessante del tema della rinascita e del cambiamento.
“La frattura porta sempre a un cambiamento, sia esso fisico o psicologico; porta a una crescita personale. Si tratta comunque di una trasformazione, o meglio di una metamorfosi, un processo che in natura avviene incessantemente”.
Emilia Faro (Catania, 1976) comincia così a descrivere la sua ultima esposizione, una vera e propria esplosione, tra organico e inorganico, di sculture floreali che irradiano tutto lo spazio. E la frattura non è intesa, banalmente, in maniera monodimensionale e metaforica; ma è rivisitata anche nelle sue componenti fisiche, biologiche e strutturali, senza dimenticare il profondo retaggio culturale della Sicilia dei filosofi – la Magna Graecia dei sapienti, che ancora permea seppur sotterranea, per la quale morte e vita convivono ammirandosi vicendevolmente. Proprio da queste radici culturali robustissime Faro attinge una conclusione semplice, acuta quanto efficace, congiungendo saggezza naturale – primigenia – e pensiero scientifico:
IL GUSTO DEL PLASMARE
“Ho scoperto che l’innesto è una tecnica agronomica che serve a plasmare individui vegetali più resistenti dalle ferite inferte sulle piante più deboli. La ferita può mostrare il riprovevole che si cela nelle cose; ma può anche svelare il segreto della rigenerazione, la sua poesia. Ho sottratto elementi vegetali alla natura e li ho rivestiti di un amalgama di resina e sabbia vulcanica dell’Etna, restituendoli sotto forma di sculture. Ho prodotto degli innesti unendo piante diverse tra di loro (graftings), lasciando che alcune di queste sculture vegetali fiorissero dalle pareti della galleria”.
Si aggiunga una competenza tecnica che tenta diverse espressioni – in questo caso, sculture e disegni – e che riverbera un gusto demiurgico del plasmare, del coltivare (etimologicamente “curare, sviluppare, migliorare”) con un’attenzione al flusso del tempo, alle fasi di crescita, al riposo degli oggetti. L’artista dedica l’intera esposizione al tema del dolore – fisico e ovviamente emotivo – da cui affiora un motivo di rinascita, di riconciliazione e/o di accettazione della parte perduta. Da qui il collegamento, apparentemente semplice – ma nella semplicità si esprime la complessità più saggiamente celata – con gli innesti vegetali, che di fatto sono delle ferite.
UN PROCESSO LINEARE
“Le sculture sospese costituiscono l’opera Idroponica (una tecnica agronomica che si usa per coltivare le piante senza il terriccio): sono delle creature né animali né vegetali, madri putative dell’esposizione. Infine, i disegni su carta giocano sulla sovrapposizione di immagini tratte da vecchie tavole botaniche: i colori predominanti sono il nero e il rosa, che rappresentano forza e fertilità, morte e rinascita”.
Forza, fertilità, morte, rinascita: Faro propone un processo lineare, rivisitabile da ognuno eppure universale nei suoi particolari, controcanto a tante complicazioni artistiche non altrettanto necessarie.
– Federica Maria Giallombardo
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