Ripartire dalle rovine. Kerstin Brätsch a Roma
Fondazione Memmo, Roma ‒ fino all’11 novembre 2018. Un inaspettato dialogo tra figurativo e astratto. Nuovi stimoli e soluzioni inesplorate. Una rappresentazione elastica dell’arte. Il superamento dell’idea di artigianato come antico e obsoleto. Una connotazione inversa, spersonalizzata, che prende le mosse dalla rovine.
Scavare nella pittura per cercare nuove soluzioni e appigli, attraverso due ampi spazi: una casa e una stalla. Una prima parte che occupa lo spazio principale della Fondazione, e una seconda nell’ambiente più raccolto, con le opere del collettivo KAYA.
Kerstin Brätsch (Amburgo, 1979) insegue il perenne obiettivo di destabilizzare il linguaggio pittorico. Per tale motivo le sue continue collaborazioni con i vari “artigiani” vogliono in primis mettere in discussione la nozione di soggettività della pittura.
In questa avventura si avvale dell’aiuto del maestro tedesco della marmorizzazione, Dirk Lange: insieme realizzano i suggestivi Unstable Talismanic Rendering. Con l’artigiano Walter Cipriani, invece, plasma e costruisce seducenti sculture in stuccomarmo, una tecnica tanto antica quanto complessa che si compone di diversi passaggi, ognuno dei quali contribuisce notevolmente alla resa finale.
La marmorizzazione pittorica, al contrario, è un lavoro articolato e aleatorio, soprattutto perché cerca di incanalare la forza di gravità elevandola a forma d’arte. Un paradosso che possiamo osservare nelle opere su carta, ottenute facendo gocciolare inchiostri e solventi. Un impatto maestoso (anche a causa delle grandi dimensioni), che si unisce a una padronanza del medium e a una tecnica magistrale.
LO STUCCOMARMO
Il secondo corpus di opere esposto utilizza lo stucco (scagliola) e cerca di imitare sia il marmo che le pietre rare (questa tecnica, detta appunto stuccomarmo, nasce in Baviera nel XVI secolo). Come forma d’arte sui generis si muove a metà tra la pittura e la scultura e questa simbiosi dimostra ancora una volta quanto la pittura sia un processo composito e non lineare. Con uno sguardo rivolto al futuro ma generato dal passato.
A differenza dei marbling paintings, in queste sculture policrome la mano e la modellazione sostituiscono il gocciolamento e la pennellata, dando vita a tutta una serie di depositi fossili variegati e variopinti. Amuleti tanto accattivanti quanto bizzarri. Potrebbero addirittura essere considerati dei talismani rituali, che manifestano una tormentata e magica energia minerale; quasi un linguaggio intrinseco che nel tempo si deposita sotto la loro superficie.
KAYA
La mostra si arricchisce ulteriormente con un lavoro in situ (_KOVO), a opera del collettivo KAYA, formato dalla Brätsch e Debo Eilers. Presentato come una violenta collisione tra pittura e scultura, propone un’ampia selezione di lampade e pelli, muovendosi ancora una volta nel sottile confine tra umano e fantascientifico. Il regno animale, rappresentato dalle pelli, incontra il bagliore delle luci, in un rito evocativo fatto di trasgressione e di ordine.
A completare il già vasto scenario una limited edition song realizzata da Brätsch, Eilers e dal sound artist e musicista Nicolas An Xedro.
– Michele Luca Nero
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