L’ultima delle rose svizzere. Yves Scherer a Bologna
Galleriapiù, Bologna ‒ fino al 15 settembre 2018. “The Last of English Roses”, cantava Pete Doherty qualche anno fa nel suo primo album solista. L’artista svizzero Yves Scherer, ormai newyorchese d’adozione, parte da questa lirica per dare il leitmotiv della sua personale.
Yves Scherer (Solothurn, 1987), sulla soglia dei trent’anni (la stessa età di Pete Doherty quando registrò il suo primo disco da solista) si concentra solo sull’oggetto della fama, in particolare femminile. Oggetto e pensiero non possono essere distinti: Kate Moss ed Emma Watson.
Sono due le icone che compaiono, o meglio appaiono come epifanie della realtà dematerializzata. Nella prima serie ospitata dalla galleria bolognese, Kate Moss, nel pieno dello splendore allucinato degli scatti di Mario Testino, è soggetto/oggetto dei ready made che utilizzano il prezioso (prezioso per lo sguardo del fotografo o per il soggetto al centro del mirino?) libro edito da Taschen, ricontestualizzato e incorniciato da scatole in plexiglas che lo consegnano a nuova vita.
EMMA WATSON
La seconda serie ha invece per soggetto/oggetto un ritornello, una specie di ossessione tematica: l’attrice Emma Watson, che da poco è diventata anche attivista. L’Ermione di Harry Potter, nell’ormai celebre discorso sul femminismo pronunciato per sostenere la campagna ONU #HeForShe, aveva esplicitamente messo a nudo la contraddizione tra persona e personaggio: “Potreste pensare: ‘Chi è questa ragazza da Harry Potter? E cosa sta facendo sul palco delle Nazioni Unite?’. È una buona domanda e, credetemi, me la sono posta anch’io”. Watson è protagonista di diversi interventi dell’artista: dalla lettera d’amore (o quasi) dell’installazione Coney Island dei suoi esordi a questa più matura realizzazione ideata per la mostra di Bologna, la sua presenza segna le tappe esistenziali dell’artista. Perché la ragazzina del primo Harry Potter ha accompagnato la crescita della generazione di Scherer a livello globale. “Tutti hanno questa strana connessione con lei”, ha dichiarato in un’intervista a proposito.
Chi è nato tra la fine degli Anni Ottanta e gli inizi degli Anni Novanta l’ha vissuta come oggetto mitologico, forma iniziatica all’erotismo, scoperta soggettiva e misteriosa dell’accesso alla giovinezza. “Tutti appiccicano la sua faccia dappertutto: lei che pratica quindici fellatio, di tutto… sempre con la faccia di Emma Watson”. Così Emma ridiventa qualcos’altro, qui sempre a partire dall’oggetto fotografico, quello apparentemente meno traditore del reale. E sono foto della quotidianità non mondana – l’attrice mentre fa la spesa, paparazzata – che diventano un’opera a sé.
LA VALENZA DEL CONFINE
Il confine è molto scivoloso: c’è la scelta del mezzo, proprio o recuperato, c’è la stalkerizzazione artistica ‒ fino a che punto l’artista non diviene anch’esso un’antenna della dematerializzazione dell’identità del soggetto? C’è infine la questione del pubblico e del privato, aggettivo quest’ultimo ormai attribuibile solo alla proprietà. Nello spazio attutito da un rosa scelto dall’artista, ci si può trovare di fronte a uno specchio piuttosto disturbante, malgrado l’intimità della visione della star che sempre ci mette a nostro agio, più della vicina che incrociamo tutti i giorni sul pianerottolo.
‒ Elettra Stamboulis
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