I primi quarant’anni del Gruppo78. L’intervista
Quarant’anni fa nasceva a Trieste il Gruppo78, per diffondere l’arte contemporanea nella città ai confini dell’impero. Una mostra, ora, ne analizza il percorso attraverso gli interventi svolti nello spazio pubblico. Ne abbiamo parlato con i curatori, Maria Campitelli e Massimo Premuda.
Da che esigenze e in quale contesto socio-culturale nasce il Gruppo78?
Maria Campitelli: Il Gruppo78 nasce dall’esigenza di conoscere l’arte contemporanea attraverso manifestazioni promosse dalle pubbliche istituzioni. Era un’epoca in cui il Museo Revoltella era chiuso per interminabili lavori di ristrutturazione e un gruppo di artisti e intellettuali si riuniva da me o da Erika Stocker Micheli per parlare delle carenze locali, nonostante le nobili iniziative delle poche gallerie private, che restavano tuttavia di nicchia. Erano gli anni in cui l’assessore di Roma Renato Nicolini organizzava le estati di spettacoli performativi e a Bologna si realizzavano le Settimane internazionali della performance, sotto la guida di Renato Barilli e Francesca Alinovi.
Mentre a Trieste…
M. C.: A Trieste di tutto questo sentivamo soltanto l’eco: ci recavamo a Bologna e tornavamo indietro col desiderio profondo che anche nella nostra città accadesse qualcosa del genere. Nel 1978 realizzammo così, grazie a varie collaborazioni, le prime due performance di Otto Mühl e Hermann Nitsch, fuori dall’ortodossia di un’arte tradizionalmente intesa. Fu lo stimolo determinante a formare il Gruppo78.
Quali reazioni avete avuto?
M. C.: La reazione alle due performance fu disastrosa. In particolare al Teatro Romano, dove si svolgeva la performance di Nitsch, si scatenò un’orgia di dissenso con rappresaglie di ogni tipo: vennero scagliati numerosi oggetti verso la cavea. E la reazione sulla stampa non fu da meno. Così ben presto ci mettemmo in proprio, pur senza mezzi né spazi. Il pubblico ce lo siamo formati un po’ alla volta, insieme ad altre associazioni come Juliet o Cappella Underground. Siamo convinti, oggi lo possiamo dire, di aver creato una base di interesse verso espressioni innovative che poi sono state condivise da nuove realtà via via sorte in città e dalle istituzioni, con le quali poi abbiamo spesso collaborato. Abbiamo avuto talvolta grande risposta dal pubblico, specie con le mostre imperniate sul binomio arte-moda e col progetto multimediale sul molo presso Ursus, un’enorme gru, residuo di archeologia industriale.
Quali momenti documenta Incursioni nello spazio pubblico?
Massimo Premuda: La mostra presenta la densa storia del Gruppo78 attraverso materiale d’archivio, a partire dalle memorabili performance di Nitsch e Mühl, testimoniate da un video di documentazione realizzato da Paola Pisani, fino ad arrivare alla recente operazione in Messico. Il percorso racconta, tra gli altri, gli eventi ospitati presso il Museo Ferroviario di Trieste, la rassegna Achtung auf den Zug e il ciclo di mostre Naturans Naturans proseguite fino al 2010. E poi le performance di Mamela Nyamza, le collaborazioni con il Comune di Muggia con Marjetica Potrč e la straordinaria installazione di arte pubblica Petrol Pax con l’artista albanese Eltjon Valle, in collaborazione con la 52. Biennale di Venezia.
Con quale criterio è stata fatta la selezione dei documenti?
M. P.: In quarant’anni di attività, il Gruppo78 ha prodotto quasi seicento iniziative, la selezione dei materiali si è così orientata su l’arte pubblica, che ha prodotto risultati molto rilevanti in città. Innanzitutto quattro eventi testimoniano queste pratiche nello spazio pubblico: Serial Public, realizzata in collaborazione con gli architetti Elena Carlini e Pietro Valle nel 1997; Specchio d’Acqua, che ha invaso per diverse estati il Canale di Ponterosso con spettacolari installazioni; la mostra Public Art a Trieste e dintorni, curata da Maria Campitelli ed Elisa Vladilo, con numerosi interventi site specific e di arte relazionale in città; e infine il progetto La Città Radiosa, realizzato sui luoghi abbandonati di Trieste. Abbiamo deciso di esporre poi la documentazione di interventi di Elisa Vladilo, Paolo Ferluga, Fabiola Faidiga e Guillermo Giampietro.
Questa mostra è il prodromo a una nuova iniziativa: quest’autunno, infatti, il Gruppo78 organizzerà la prima edizione del Festival di Arte e Robotica. Qualche anticipazione?
M. C.: Dal 2015 il Gruppo78 si occupa del rapporto arte-scienza-tecnologia, anche con la specificità della robotica. Dato il successo, abbiamo deciso di continuare questo percorso trasformando la mostra in festival. Il titolo della prima edizione è Digital Nature: indagheremo l’innesto delle nuove tecnologie nella natura e nei sistemi organici, sviluppando l’idea di una coevoluzione tecno-naturale già ampiamente applicata nella robotica in campo medico. L’arte, come sempre, si appropria di queste inedite evoluzioni esportandole in installazioni, sculture mobili e mutanti, condizionate ad esempio dall’atmosfera.
Ci potete dare qualche nome in anteprima?
M. C.: Un maestro in questo senso è lo statunitense Ken Rinaldo, scienziato e artista insieme. Poi avremo artisti come Bill Vorn con lo spettacolo Copacabana Sex Machine, ossia il can can parigino danzato da robot, Patrik Tresset con i suoi bracci disegnatori, Paolo Gallina con un braccio industriale educato e creare vedute paesistiche all’acquerello e Max Jurcev, artista del Gruppo78, con un altro robot/pittore. Poi, sul versante delle trasmutazioni e delle sonificazioni, il collettivo Audint, Antnio Abad che lavora con i non vedenti, Roberto Pugliese, Simone Pappalardo, Davide Quayola e Donato Piccolo.
‒ Daniele Capra
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