Un’estate piena di mostre. Al Kunstverein di Salisburgo
“Visto che viviamo in un flusso di situazioni transitorie, perché non applicare tale mutevolezza anche al concept curatoriale di una mostra?”. E così il curatore Séamus Kealy ha apparecchiato una serie di mostre per l’estate del museo austriaco. Ecco cosa hanno riservato, riservano e riserveranno le tre tappe della rassegna.
“Mi interessa indagare il concetto di effimero e temporalità nelle sue tante, possibili declinazioni. Visto che viviamo in un flusso di situazioni transitorie, perché non applicare tale mutevolezza anche al concept curatoriale di una mostra? Ho a lungo riflettuto su questa sfida e ho cercato di declinarla in una mostra che si reinventa attraverso il lavoro di venti diversi artisti che, tra installazioni, fotografie, performance e proiezioni cinematografiche, ridefiniscono gli spazi del museo trasformandolo di volta in volta”, afferma Séamus Kealy, curatore di 20 Propositions, serie di venti eventi in programma al Kunstverein di Salisburgo fino al 23 settembre.
LA CABALA DEL NUMERO 20
Il giorno dell’opening, mentre nei teatri cittadini si inaugurava il Salzburg Festival diretto da Markus Hinterhäuser, che ogni anno propone prestigiose opere teatrali e concerti, al Kunstverein si presentava la prima parte di 20 Propositions. I rimandi numerici sono del tutto voluti (20 Propositions il 20 luglio) e amplificati anche da un’altra ricorrenza, l’omaggio alla mostra 40 Days 20 Exhibitions che si era tenuta vent’anni fa nel medesimo museo, curata dall’allora direttrice Hildegund Amanshauser, che ora dirige la International Summer Academy di Salisburgo, con il quale il festival collabora.
Per documentare il link tra le due mostre sono stati raccolti su un apposito wall le testimonianze degli artisti di allora e quelli di oggi, per creare un cortocircuito spazio-temporale. La sfida di Kealy è di reinventare le forme del display espositivo e di interrogarsi sulle modalità di produzione, oltre a voler sedurre il visitatore con le tante e diverse proposte espressive, invece di fare un’unica mostra collettiva della durata di due mesi.
LA PRIMA PARTE DELLA MOSTRA
La prima parte di 20 Propositions era composta dalle opere di Jakob Kolding, Christiane Peschek, Emeka Okereke, Maria Legat, Nikola Röthemeyer & Annika Sailer, presentate come mostre personali nei diversi spazio del museo. Molteplici le suggestioni: se la Peschek ha messo in scena la deflagrazione di una relazione amorosa, componendo un collage di frammenti fotografici del suo corpo e di quello del suo partner, di cui ha riprodotto anche gli odori in un’installazione olfattiva, diverso è il tono del grande dipinto composto da Maria Legat, che si occupa di temi riguardanti la globalizzazione e le sue ripercussioni sulle forme di produzione economiche postfordiste. I toni tragici e al contempo ironici della Peschek assumono nei tratti grotteschi e violenti della Legat una più intensa formalizzazione iconografica.
Le opere fotografiche di Emeka Okereke riflettono invece sui testi di Homi Bhabha per indagare le istanze post-coloniali presenti in Nigeria, dove vive Okereke; Jakob Kolding ha creato una mappa psicogeografica composta dagli artisti per lui più significativi, mentre Nikola Röthemeyer & Annika Sailer si sono occupati dei dreamcatchers, narrati dai nativi americani.
Oltre alle mostre, sono state presentati nello spazio esterno del Kunstverein il film Glue di Oisin Byrne & Gary Farrelly, che tanto è piaciuto a Mark Leckey per i toni surreali e narcolettici, e la performance di Sam Keogh.
LA SECONDA PARTE DELLA MOSTRA
La seconda parte (dal 1° a 12 agosto) presenta il lavoro di Carl Johan Högberg, Ulrike Königshofer e Iva Lulashi.
I dipinti della Lulashi, di origine albanesi ma residente a Milano, nascono da found footage film, film amatoriali e di propaganda realizzati tra il 1960 e il 1980 in Albania, negli ultimi anni del regime comunista di Enver Hoxha. Immagini di attività ginniche e frame tratti da film soft-core mettono in discussione il confine tra istanze private e collettive, tra memoria personale e mitopoiesi politica.
Affascinato dalla medium ginevrina Hélène Smith, musa degli artisti surrealisti per la sua personalità dissociata e per le trance in cui componeva testi di scrittura automatica, Carl Johan Högberg le dedica dipinti, installazioni e collage, mentre Ulrike Königshofer lavora sulla percezione della luce, documentandone le variazioni cromatiche con installazioni fotografiche.
La performance di Ei Arakawa e Christian Naujoks & Class ha messo in discussione realtà e finzione, colonna visiva e sonora in un intreccio di suggestioni caustiche e ironiche, al medesimo tempo.
Earthrise, l’immagine iconica scattata dall’Apollo 8 nel dicembre 1968, considerata una delle fotografie più significative dello scorso millennio, è invece il soggetto del film Gravity Matters dell’artista e filmmaker Bjørn Melhus, proiettato nel cinema installato nel giardino del museo.
LA TERZA PARTE DELLA MOSTRA
La sperimentazione e la reinvenzione di 20 Propositions continua anche nella terza e ultima parte del progetto (da 15 agosto al 23 settembre), con pitture poetiche e bizzarre dell’americano Mark Van Yetter, con le opere della fotografa iraniana Mehraneh Atashi, in cui scompone paesaggi urbani per contaminarli con le proprie visioni interiori, e con le sculture di Markus Wilflin, dove l’automatismo percettivo è messo fortemente in discussione.
Solo il 15 agosto sarà proiettato Corpus Callosum, del regista sperimentale Michael Snow. Il titolo del film fa riferimento a quella parte del cervello in cui i primi anatomisti pensavano si trovasse l’anima e nella quale passano le informazioni tra i due emisferi cerebrali. Per Michael Snow il corpus callosum è metafora del nostro misterioso agire, nel flusso di situazioni transitorie di cui siamo parte, in perfetta sintonia da quanto teorizzato da Séamus Kealy in 20 Propositions.
– Lorenza Pignatti
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