Passato e presente dell’arte. Marco Lodola e Giovanna Fra a Caserta
Reggia di Caserta ‒ fino al 15 settembre 2018. La coppia di artisti riflette sulla logica del tempo. Declinandola nelle sue sfumature più antiche e contemporanee.
Tempus – Time, la doppia personale di Marco Lodola e Giovanna Fra curata da Luca Beatrice, illumina la Reggia di Caserta con un nuovo progetto dedicato a una visione dell’arte che sa coniugare, ormai storicamente, il passato al presente dell’arte stessa.
“La mostra”, dichiara non a caso Mauro Felicori, direttore della Reggia dal 2015, “s’inserisce nell’importante storia del rapporto della Reggia con l’arte contemporanea e con la variegata polifonia dei suoi linguaggi, un dialogo lungo e intenso che si è rinnovato costantemente nel corso degli anni nel confronto continuo e forte, sentito tra epoche e stili, che rende sempre attiva e feconda la vita di uno spazio museale così significativo”.
A collegare i due artisti, apparentemente distanti e dal discorde modus operandi, non è soltanto il territorio d’origine – sono nati infatti ambedue in Lombardia, Fra a Pavia, e nella sua provincia, a Dorno, Lodola – ma anche un particolare rapporto con il tempo, inteso da una parte come recupero dell’arcaico (tempus), dall’altro come analisi della velocità attuale (time).
A primo acchito questo nuovo asse Lodola-Fra pare essere un pacchetto preconfezionato, per alcuni attenti amanti dell’arte una sorta di ripresa della mostra LoDoLaFra, presentata sempre da Beatrice e organizzata alla Galleria Centro Steccata di Parma (dal 18 marzo al 30 giugno 2017), ma a guardare bene si tratta piuttosto di un itinerario a due voci che gli artisti hanno forse deciso di avviare all’indomani del loro matrimonio, il 23 ottobre 2017.
SPAZIO E PARTECIPAZIONE
Fatto sta che negli spazi monumentali del vanvitelliano Palazzo Reale voluto da Carlo di Borbone e nel suo parco, dove ad accogliere lo spettatore è una sfilata di alcune monumentali sculture luminose realizzate da Marco Lodola negli ultimi anni ‒ che fungono non solo da apertura e da breccia tra l’aperto e il chiuso, ma anche da memento felice di festa ‒, la mostra funziona e anzi crea piacevoli e croccanti rapporti di partecipazione con lo spazio.
“Dialogare con stucchi, decorazioni, pitture di genere e, soprattutto, con un’architettura di inestimabile pregio può costituire […] una sfida ardua eppure affascinante per gli artisti contemporanei, a partire dall’utilizzo di materiali anomali che solo da poco sono entrati nel novero appunto dell’artisticità”, puntualizza Luca Beatrice. “Senza contare volumi, cubature e l’immensità di un parco che farebbe spaventare chiunque. […] Realizzare un cortocircuito visivo tra il tempus e il time, ovvero il passato e il presente, è rischio che l’arte di oggi sente di correre con sempre maggior frequenza. Ora, in particolare, tra pittura, elaborazione digitale, plastica e luce”.
CORTOCIRCUITI E PUNTI DEBOLI
Dall’ingresso agli spazi interni che portano in un viaggio che arriva fino al piano nobile, il fuoco liquido di Marco Lodola e la pittura astratto-digitale di Giovanna Fra creano proprio questo piacevole cortocircuito, questo vivace spostamento materico, questo ulteriore dialogo con spazi straordinari dove è possibile perdersi tra le voci corse avanti.
Peccato che il catalogo (Skira, 2018) sia un pot-pourri di interventi dove nomi importanti vengono gettati tra nomignoli senza alcun valore, se non quello del richiamo per le allodole. Gillo Dorfles, ad esempio, che di Marco Lodola ha scritto in occasione di una bella mostra tenuta a Paestum, negli spazi del MMMAC – Museo Materiali Minimi d’Arte Contemporanea (debitamente chiuso da una delle amministrazioni di turno che reputa la cultura una palla al piede), è posto allo stesso livello di un Philippe Daverio, di un Renzo Arbore, di un Max Pezzali o peggio ancora di un Lorenzo “Jovanotti” Cherubini. Lo stesso vale per quegli altri nomi di valore (Achille Bonito Oliva, Umberto Galimberti, Tiziano Scarpa e naturalmente il curatore della mostra) che si trovano nell’indice come sconsolati fiori solitari.
‒ Antonello Tolve
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