Paesaggio in festival. Ad Anacapri
Edizione numero tre per il festival che evoca la memoria artistica dell’isola di Capri e indaga il sempre attuale tema del paesaggio.
Capri Revolution è il titolo dell’ultimo film di Mario Martone ispirato dalla storia del pittore tedesco Karl Wilhelm Diefenbach e dalla comune pacifista e naturista da lui fondata a inizio Novecento sull’isola. Un esempio di visionaria utopia e sperimentazione, una vera rivoluzione ben rappresentativa di quanto nei secoli Capri sia sempre stata un crocevia per intellettuali, artisti, nobili, figure eccentriche e straordinarie – si veda il libro di Lea Vergine Capri 1905-1940 frammenti postumi – , che hanno trovato nell’isola un luogo ideale per l’azione e la contemplazione, un humus creativo, prolifico e stimolante: dai futuristi con Filippo Tommaso Marinetti e Fortunato Depero alla marchesa Luisa Casati Stampa, dalla poetessa Sibilla Aleramo al barone Jacques d’Adelswärd-Fersen, scrittore e poeta, da Curzio Malaparte (la cui villa caprese appare in una scena iconica de Il disprezzo di Jean-Luc Godard) a Lucio Amelio e Joseph Beuys.
IL FESTIVAL
Dal 2016 un’altra rivoluzione soffice percorre l’isola scuotendo e ponendo in questione facili stereotipi a essa associati – e sedimentatisi nel tempo – per riprendere e tesaurizzare questo patrimonio materiale e immateriale, fatto di luoghi, personaggi, storie, aneddoti e memorie, e coltivare un pensiero irregolare e divergente sul contemporaneo. Si tratta del Festival del Paesaggio di Anacapri, a cura di Arianna Rosica e Gianluca Riccio: un invito a riflettere sul paesaggio, non solo e necessariamente caprese, a partire, in primis, dagli spunti offerti dal convegno sul paesaggio organizzato nel 1922 da Edwin Cerio, intellettuale, ingegnere navale e sindaco di Capri.
Articolato in mostre personali e collettive, workshop, residenze d’artista – con il progetto Travelogue promosso dal Capri Palace Hotel – e incontri, il festival innesca ogni anno un processo virtuoso di analisi e valorizzazione del paesaggio e del territorio al fine di proporne nuove letture e interpretazioni, cercando di captarne cambiamenti e trasformazioni, ri-definendolo attraverso sguardi diversi e inaspettati. Si generano così di volta in volta narrazioni alternative, non agiografiche o “da cartolina”.
E alla cartolina – dalla seconda metà dell’Ottocento mezzo d’eccellenza per veicolare immagini correlate a messaggi, sentimenti, emozioni, sensazioni e oggi quasi in disuso nella sua agrodolce sospensione tra kitsch e vintage – è dedicata la collettiva Postcards nell’ambito della terza edizione del festival. “La cartolina oggi ci appare uno strumento in via d’estinzione, parte di un mondo ormai lontano. Ma forse è proprio nell’era della comunicazione in tempo reale che possiamo riconoscere in quest’oggetto desueto il senso di una comunicazione che sappia esprimere ancora una relazione intima con il paesaggio. Nella mostra la cartolina è stata il punto di partenza per rintracciare un punto di vista inedito sul paesaggio contemporaneo, sulla sua rappresentazione e sull’urgenza di ristabilire, prima ancora che un rapporto diretto con la realtà che ci circonda, un nuovo rapporto con la sua immagine”, scrivono i curatori nel catalogo edito da Manfredi Edizioni.
LE MOSTRE E GLI ARTISTI
La collettiva raccoglie i lavori di venti artisti di diverse generazioni, tra cui Fabio Mauri, Liliana Moro, Stefano Arienti, Flavio Favelli, Paolo Gonzato, Sissi, Elisa Sighicelli, Goldschmied&Chiari, Marcella Vanzo, Mauro Vignando.
Le cartoline, con la loro pluralità di significati e significanti, diventano oggetti trovati, rettificati, da manipolare e decostruire, da sonorizzare o ricamare. Da affrontare con ironia e straniamento, procedendo per paradossi e ossimori. Figura cardine dell’edizione 2018 del festival è Renato Mambor, tra gli artisti di Postcards, ma soprattutto protagonista di un’accurata monografica il cui focus si concentra su un nucleo di opere realizzate tra gli Anni Sessanta e i Duemila, a evidenziare la centralità del paesaggio nella sua pittura sospesa tra il pop (quello della romana Scuola di Piazza del Popolo) e atmosfere dechirichiane. Non da ultimo, l’intervento speciale di Alessandro Mendini negli spazi del Museo della Casa Rossa: una riflessione sul tema del decoro – centrale nella poetica dell’architetto e designer milanese – ispirata al pavimento in maioliche della Chiesa di San Michele di Anacapri e realizzata in collaborazione con Ceramiche di Vietri Francesco De Maio. Un festival, quindi, denso di contenuti ed energie (quest’anno anche accompagnato dalla colonna sonora della sua radio ufficiale, Pre-Delay, web radio ideata dal sound designer Igor Muroni) e con un obiettivo preciso a medio-lungo termine: porre le basi per la collezione del futuro Museo dell’isola di Capri. Ancora una volta per cambiare, e stravolgere, le prospettive sul preesistente attraverso l’arte e il design.
‒ Damiano Gullì
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati