Visioni dal Giappone. A Treviso
Gallerie delle Prigioni, Treviso ‒ fino al 4 novembre 2018. Traumi storici, natura e tecnologia sono il fil rouge della mostra che getta un nuovo sguardo sul Giappone. Alternando passato e presente.
Nel sentirsi annunciare dal domestico che il tempo è “bellissimo”, Marco è perplesso: fuori piove. Osservando però il giardino curato, bagnato da una pioggerella invisibile, capisce che, nell’insieme, “si trattava di un’opera d’arte”. Non una bugia: il domestico aveva operato una sincera trasfigurazione della realtà. Goffredo Parise, nel suo reportage L’eleganza è frigida, aveva introdotto così lo spirito del Giappone, un’atmosfera “rarefatta e pura, di estetismo botanico”.
Aveva scoperto un Paese che trasforma la realtà in rituale estetico, che accetta l’imprevedibilità della natura, che accoglie il caso in ogni sua manifestazione.
Con lo stesso stupore possiamo osservare il Giappone oggi a Treviso, nella mostra I say Yesterday, You hear tomorrow. Visions from Japan alle Gallerie delle Prigioni.
In dialogo con tre raccolte giapponesi della collezione Imago Mundi di Benetton, al piano superiore un percorso espositivo mette in luce la capacità del Giappone di fare leva sulle tragedie del passato per sviluppare una cultura proiettata al futuro, al contempo riscoprendo il legame ancestrale e rituale con la natura.
I disastri nucleari di Hiroshima e Nagasaki e di Fukushima hanno lasciato segni indelebili, che sono stati però il pretesto per una spinta verso il progresso, nell’arte come nelle discipline scientifiche.
La mostra indaga con dodici opere di altrettanti artisti giapponesi il percorso di ricostruzione avviato dal Paese reinvestendo nella cultura proprio quel sapere tecnologico che nasceva dalla ricerca a scopi bellici.
TEMPO E TECNOLOGIA
Molti lavori esposti utilizzano le nuove tecnologie e riflettono su tematiche legate al mondo digitale, con una direzione interessante che riguarda soprattutto l’ambito delle new media art: interactive art, VR art, digital art. Una scelta curatoriale ragionata, perché legata al concept: il Giappone dell’avanguardia tecnologica, nella scienza e nelle arti visive.
Questo è uno degli obiettivi dell’esposizione: l’attenzione a questo tipo di media, che faticano talvolta a trovare visibilità in Italia, evitando la speculazione ludico-sensazionalistica con cui spesso tali arti vengono coinvolte nelle mostre.
Il tempo è un tema affrontato da molti autori, in particolar modo quello del passato che si riallaccia al futuro: la capacità di leggere i segni della storia per utilizzarli come materiale di ricostruzione.
Così Adoka Niitsu presenta uno smartphone fossile, un lavoro concettuale delicato, paradossalmente atemporale: una sintesi tra l’odierna obsolescenza della tecnologia e la quasi-immortalità della prima immagine che la natura ci ha fornito di sé.
Di nuovo è la tecnologia che ci fa addentrare in un altro paradosso, perché siamo invitati a visitare, attraverso la realtà virtuale, una mostra inaccessibile allestita dal collettivo Don’t Follow the Wind nella zona evacuata di Fukushima.
L’impermanenza è un tema caro alle culture orientali, che insegnano l’accettazione della caducità della materia e l’effimero come fatti naturali. Carichi, anche, di quel “botanico estetismo” che ci ricorda Parise.
Evanescente e fuori dal controllo dell’uomo non è solo la materia ma anche la memoria: ne è un emblema il video a tre canali di Hiroyuki Masuyama, che mostra i volti dei suoi familiari in sequenza cronologica, con una sparizione impercettibile, inarrestabile e al contempo poetica.
La tecnologia è usata anche per rendere visibile la radioattività e i suoi segni: il video di Nobumichi Asai è una sequenza bellissima: il volto di una giovane è inondato da puntini di luce, propagati da un dispositivo (creato dall’artista) che riproduce l’inondazione di radiazioni su un corpo. Il tempo è la materia delle fotografie di Masahiro Usami, presidente dell’Associazione sopravvissuti di Hiroshima, che compone scatti corali in cui passato e futuro si uniscono in una sintesi formale surreale, o forse si tratta proprio di quella trasfigurazione della realtà in chiave ottimistica: rovine del passato accanto a persone e scene del presente, simbolo di speranza insieme a una natura rinata.
REAGIRE AI TRAUMI
In diversi momenti la mostra si sofferma a sottolineare come il Giappone, per reagire ai traumi, abbia saputo attingere dalla forza spirituale tradizionale della sua cultura: la natura.
La ricerca sonora di Junya Oikawa, ad esempio, nasce dalla fascinazione dei suoni naturali e dalla capacità dell’uomo di imitarli, grazie alla tecnologia. L’interrogativo è sull’origine del canto dei grilli che pervade la stanza ospite di un giardino: è una registrazione o una manipolazione digitale? Ma ha davvero importanza scoprirlo?
Shigetosi Furutani immagina possibili esiti per l’uomo post-digitale, seguendo ipotesi suggerite da recenti ricerche, come quella di un unico cervello condiviso telepaticamente. Un video che incrocia estetiche del gaming e immagini reperite da documentari e che presenta un futuro per una volta affatto distopico. Anch’esso una trasfigurazione, quasi divertita, dell’odierna realtà.
La ricomposizione di materiali recuperati è alla base dei lavori di Keita Miyazaki e di Yutaka Inagawa. Il primo assembla origami e motori di auto trovati fra le macerie dello tsunami, formando sculture come giochi misteriosi e propagatori di suoni industriali. Il secondo crea esplosioni di paesaggi cibernetici, un collage di oggetti organici e digitali, che interroga l’ibridazione tra le nostre vite e la tecnologia.
Tra le opere più scultoree della mostra, le ceramiche di Kenichi Ogawa richiamo frammenti di oggetti quotidiani e familiari, mentre le pitture a smalto di Shu Takakashi si affidano totalmente alla sensualità e alla meditazione offerte della pura percezione visiva e tattile.
Il contrasto fra la tradizione del Giappone, fatta di natura e meditazione, e il progresso digitale è richiamato anche dai lavori di Jacob Hashimoto. Le sue sculture in poliuretano sanno richiamare le forme modulari e frattali che natura e tecnologia hanno in comune.
IMITARE LA NATURA
Obbligato a ricostruirsi e rinnovarsi, il Giappone ha saputo farlo non cancellando i traumi, ma rielaborandoli per puntare al progresso e alla rinascita, imitando la natura.
La mostra riesce nell’intento di trasmettere questo messaggio, con uno sguardo attento alla ricerca artistica contemporanea. Un percorso che avvicina al Giappone e invita a riflessioni universali sull’elaborazione dei traumi collettivi attraverso la ricerca scientifica e la tensione all’arte e alla natura.
Le Gallerie delle Prigioni si ripropongono così come luogo portatore di contenuti che fanno incontrare l’arte contemporanea con i più cogenti temi di attualità geopolitica e uno sguardo aperto alle questioni sociali di ogni epoca.
‒ Lucia Longhi
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