Chiara Fumai al Padiglione Italia. L’opinione di Francesco Urbano Ragazzi

Il duo curatoriale impegnato nella divulgazione dell’opera di Chiara Fumai riflette sull’inclusione di quest’ultima nella rosa dei protagonisti del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2019.

Rappresentare l’artista che non c’è è da sempre la sfida dell’opera d’arte. La sfida con cui tutti noi, operatori e fruitori, veniamo chiamati a misurarci proiettandoci in un futuro remoto possibile. Ma quando un artista non c’è più improvvisamente, tragicamente, diventa necessario uno sforzo empatico ulteriore. Cosa avrebbe fatto Chiara Fumai (Roma, 1978 ‒ Bari, 2017)? Cosa avrebbe detto e come? Ce lo siamo chiesti tante volte da quando Chiara ci ha lasciati più di un anno fa. E queste domande hanno a volte permesso al dolore di trasformarsi in ricerca, dedizione, responsabilità.
La scelta di Milovan Farronato al Padiglione Italia risponde certamente a questi stessi principi. Non solo per il legame personale tra lui e Chiara, ma anche per il profondo rispetto che il curatore Farronato ha nei confronti dell’opera dell’artista Fumai. Lo abbiamo verificato nelle tante avventure che hanno vissuto assieme.

RICERCA E RESPONSABILITÀ

Forti di questa sicurezza, non serve che indugiamo su indiscrezioni o personali elucubrazioni sul progetto in mostra a Venezia. Il Padiglione Italia è un argomento che spesso scatena sentimenti calcistici e grandi pettegolezzi, come se davvero le sorti dell’arte italiana si giocassero tutte lì. La carriera stessa di Milovan ci insegna che non è così. E ce lo insegna anche la folgorante storia di Chiara: la prima dj italiana a suonare in Cina (Impulse Festival 2006), l’unica donna a manifestare sul tetto del Fridericianum di Kassel con un esercito di sputafuoco (documenta, 2012), sola a prendersi carico fino in fondo dell’eredità culturale di Valerie Solanas, Eusapia Palladino, Zalumma Agra e, con loro, di tutte le donne che hanno marcato la storia umana con il loro coraggio ma soprattutto con la loro rabbia.
Ricerca, dedizione, responsabilità sono stati anche i principi che Chiara ha sempre seguito. Insieme all’ossessione, l’ironia, la determinazione e la generosità che ce l’hanno fatta conoscere e amare. Sulle orme di questi valori abbiamo incontrato molte altre persone e professionisti che sono parte dell’universo fumaiano, e che insieme a noi cercano di rappresentarlo. Anzitutto c’è la madre dell’artista, Liliana Chiari, che con amore e tenacia ha preso in mano la causa della figlia. Con lei, Milovan Farronato, l’artista Rossella Biscotti e il collezionista Michele Spinelli da maggio 2018 stiamo dirigendo The Church of Chiara Fumai, l’organizzazione che si occupa dell’archivio e dell’opera di Chiara. Il comitato scientifico dell’istituzione conta per ora la partecipazione di due riferimenti accademici come Marco Pasi e Mark Kremer ed è guidato da Carolyn Christov-Bakargiev, curatrice che ha fulgidamente ispirato l’artista durante la sua partecipazione a documenta 13 ma non solo. Altri nomi si aggiungeranno presto.

Chiara Fumai, Shut up Actually Talk (The World Will not Explode), performance at Kunsthalle Fridericianum, Kassel 2012, dOCUMENTA (13). Photo Blerta Hocia

Chiara Fumai, Shut up Actually Talk (The World Will not Explode), performance at Kunsthalle Fridericianum, Kassel 2012, dOCUMENTA (13). Photo Blerta Hocia

LA COMUNITÀ DI CHIARA FUMAI

Anche in onore di questo impegno, il CRRI del Castello di Rivoli ‒ sotto la direzione di Bakargiev ‒ ha accolto in questi mesi l’archivio di documenti (cartacei e digitali), libri, dischi, abiti e oggetti di scena di Chiara Fumai. Con l’aiuto prezioso di Luca Cerizza e Giulia De Giorgi, ci siamo presi cura di trasferire al museo questa parte fondamentale dello studio dell’artista che presto sarà accessibile ai ricercatori.
Sempre a Rivoli, l’8 dicembre prossimo, Carolyn Christov-Bakargiev e Milovan Farronato terranno una lecture su Chiara Fumai nell’ambito di un ciclo di appuntamenti attorno alla violenza sulle donne a latere della mostra di Nalini Malani in corso al Castello. Parallelamente, in diverse città, la comunità che Chiara ha attivato attorno a sé si sta mobilitando in preparazione di nuovi progetti: a Bari, insieme ai fondatori di The Church of Chiara Fumai, le sorelle Paola e Antonella Marino; a Ghent, Wim Waelput e Mara Montanaro di KIOSK; a Prato, Cristiana Perrella alla guida del Centro Pecci; a New York, noi e Kari Conte dell’ISCP; e poi la galleria Guido Costa, che oggi rappresenta il lavoro dell’artista, Apalazzo Gallery, che l’ha rappresentato, e Galería Rosa Santos di Valencia.
Il punto di incontro di questa comunità e di tante altre figure significative nel percorso dell’artista ‒ tra cui Stefano Collicelli, Andrea Lissoni, Raimundas Malašauskas, Nicola Setari, Giovanna Zapperi, e altri a venire ‒ sarà il CAC di Ginevra dove verrà organizzata, grazie all’invito del direttore Andrea Bellini, la prima retrospettiva dedicata all’artista. Con queste parole Bellini ha dato inizio ai lavori: “Vedo questo progetto come un lavoro di gruppo. Penso che sia veramente importante far scaturire la mostra di Chiara Fumai dall’incontro di diverse sensibilità. È un dovere nei confronti di Chiara e del suo lavoro magmatico”.
Ci auguriamo allora che il magma di Chiara Fumai possa ribollire grazie a questo lavoro di gruppo a cui siamo felici di partecipare. E auguriamo a Milovan di dare vita insieme a Chiara a un Padiglione Italia incendiario e memorabile.

Francesco Urbano Ragazzi

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