I truismi di Ralph Rugoff. L’editoriale di Renato Barilli
Il critico bolognese riflette sulle premesse della Biennale di Ralph Rugoff, stigmatizzandone la scarsa incisività.
In genere mi guardo bene dall’andare alle conferenze stampa che annunciano temi e aspetti delle Biennali d’Arte, presentandone anche l’appena nominato direttore. In questa mia assenza sta anche una critica latente a uno stile di conduzione che non mi trova per nulla d’accordo. Nel secolo scorso a dirigere il settore dell’arte erano chiamati dei critici, con cui magari non andavo d’accordo, ma erano protagonisti di un dibattito culturale, autori di saggi influenti, portatori di idee proprie. Penso a una sfilata che comprende i Calvesi e Celant e Bonito Oliva e Jean Clair. Invece col nuovo secolo vengono scelti personaggi che appartengono alla famiglia dei “curators”, persone con poche idee, con poche ipotesi espresse alla luce del sole, e invece con tante conoscenze nel mondo delle gallerie, con tanti indirizzi, ma dei soliti noti, con una sola preoccupazione: non fare qualche passo falso. Si comportano come un padrone di casa che, nello stendere una lista di inviti a una festa, si preoccupa più che altro del bon ton. Quanto all’arte, e all’interrogativo principale – dove stia andando –, nulla in questo senso, territorio pieno di insidie su cui è meglio non inoltrarsi.
“Tanto, al solito, la partecipazione italiana verrà relegata nel padiglione più lontano del percorso alle Corderie. La principale nostra istituzione artistica ghettizza fin dall’inizio una nostra eventuale presenza”.
Quest’anno la scelta è caduta su Ralph Rugoff, che, se si deve pescare nella categoria dei “curators”, ha le carte in regola, dirige un istituto londinese come la Hayward Gallery, dove in altri tempi io stesso, con colleghi, ho portato una rassegna di arte italiana, e può vantare tante collaborazioni a riviste importanti, Ma se non sbaglio non ha mai emesso una qualche consistente ipotesi storiografica. Di rara inconsistenza è poi il titolo che propone, Possiate vivere in un tempo interessante: si tratta quasi di un truismo. Se ci si lancia in un’impresa importante, va da sé che debba riguardare prospettive quanto meno “interessanti”. Il nostro Rugoff, almeno in questa prima fase, si tiene lontano da sostanziosi interrogativi, come: è in atto un ritorno alla pittura? Come sta andando il fattore decisivo del “glocalismo”? E il rapporto tra manualità e nuove risorse tecnologiche? E la crescita della partecipazione femminile? Si può poi scommettere che Rugoff non si darà da fare per visitare studi di artisti italiani, per questo basterà qualche telefonata ad amici curatori come lui, o a galleristi di fama, per cogliere a volo qualche valore affermato. Tanto, al solito, la partecipazione italiana verrà relegata nel padiglione più lontano del percorso alle Corderie. La principale nostra istituzione artistica ghettizza fin dall’inizio una nostra eventuale presenza.
‒ Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #45
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